Luigi Bisignani
STUÒZZI Ì STÒRIA. (parte ottava)
Minùcciu bbì cùnta cà, i fèsti sù còs’àntìchj….
-Sànta Lucìa– Per il 13 dicembre, festa di Santa Lucia, la tradizione regionale calabrese prevedeva la preparazione della cuccìa, (in sandonato cùcciàta), pietanza a base di cereali e legumi, àssulùti ò mmìschàti con varianti diverse da paese a paese.
A Cassano veniva cotto solo granturco; a Corigliano, la vigila del 13 dicembre, si consumava la cuccìa più tredici altri frutti diversi (quelli secchi compresi); in altre zone del cosentino veniva preparata la cuccìa salàta, con dentro zampe e piedi di un capretto, sacrificato per l’occasione.
In altri paesi, dopo aver bollito il cereale, lo si faceva raffreddare per una notte intera e poi si condiva, talvolta con mosto cotto. In altre zone la padrona di casa, prima di condirli, guardava i chicchi di mais sperando di intravedere l’impronta del piede della santa che, durate la notte, poteva aver visitato e benedetto la casa.
In molti centri del cosentino, terre sandonatesi comprese, i ragazzini si recavano di casa in casa per chiedere à cùcciàta, ed anticamente, la notte della vigilia della festa del 13, era tradizione porre sul balcone o sul davanzale della finestra un piatto pieno di cuccìa affinché la santa ne assaggiasse il contenuto.
A Longobucco, veniva preparata una cuccìa dolce; in altri centri della provincia di Cosenza (cito Altomonte e Rossano), si distribuivano ai poveri fichi secchi, legumi e cereali, che a Pedace venivano consumati insieme alla cuccia; in Mormanno si distribuivano le castagne.
In molti paesi della Valle Crati (San Donato compreso), nella seconda settimana di dicembre si teneva un rito di origine pagana, propiziatorio all’abbondanza delle messi, in onore di Demetra-Cerere, dea dei campi, della luce e della bella stagione, alla quale gli antichi offrivano in voto frumento bollito e fiaccole luminose.
Con l’avvento del cristianesimo il rito si è mantenuto ed onora Santa Lucia con un piatto a base di grano o farro, detto “cuccìa” e che, da tempo immemore, è distribuito ai poveri.
Narra leggenda che nel 1646, vare popolazioni nel sud Italia soffrirono una tremenda carestia che provocò la quasi decimazione. Nel giorno di Santa Lucia, arrivò in Palermo una nave piena di grano, immediatamente distribuito alla popolazione. Era tanta la fame e non venne perso tempo a macinare il cereale: Il popolo lo bollì e lo mangiò, così come uscito dalla pentola. Negli anni successivi si festeggiò il 13 dicembre a ricordo dell’insperato salvataggio, consumando un piatto di grano cotto
Altra a usanza era legata ad una arcaica forma di previsione meteorologica, ì juòrni cùntàti, che consisteva nel collegare i mesi dell’anno successivo, ad uno dei giorni compresi fra il 13 ed il 24 dicembre. Vi era la convinzione che le stesse condizioni di tempo dei giorni contati si sarebbero ripetute nei mesi ad essi corrispondenti
Nel giorno di Santa Lucia, gli antichi calabresi, potendo, evitavano qualsiasi attività lavorativa. Credevano che così la Santa li avrebbe preservati da malattie agli occhi.
Questa credenza è legata ad uno dei supplizi cui la santa venne sottoposta.
Tradizione vuole che, convertita al cristianesimo, Lucia aveva fatto voto di castità e per questo, rotto il fidanzamento con un giovane patrizio, il quale non voleva rassegnarsi, tanto da affermare che, senza gli splendidi occhi di Lucia, non poteva vivere. Per levarselo di torno, narra leggenda che la Santa se li togliesse offrendoglieli su un vassoio (da qui l’iconografia corrente), ma il giovane la denuncio come cristiana al proconsole Pascazio che la condannò, ad essere richiusa in un lupanare, poi ad essere arsa viva (miracolosamente la santa evitò per tre volte il supplizio) ed infine ad essere decapitata (pare che l’esecuzione riuscì con una coltellata alla gola).
In tempi antichi, in alcune zone della penisola (Sicilia, Emilia Romagna, parte della Lombardia, Veneto, Calabria e Campania), era solo Santa Lucia che portava i doni ai bambini (Babbo Natale ed il consumismo che lo ha creato, erano di la da venire)
L’usanza di mangiare à cùcciàta nella ricorrenza di S. Lucia, intercala col complesso di riti e miti cristiani, che abbraccia buona parte dell’area meridionale.
Da alcuni secoli, l’anima popolare ha trovato riflesso in un miracolo operato dalla Santa a favore del popolo siracusano, di cui è concittadina e patrona.
Si narra che nella metà del XVII secolo, in Sicilia occorse una grande carestia e che il 9 gennaio1763 (giorno di esposizione del simulacro della Santa per commemorare il terremoto del 1693), durante l’omelia, il predicatore accenna alla circostanza che S. Lucia potesse provvedere al suo popolo, facendo arrivare in porto qualche bastimento carico di grano.
Effettivamente, il giorno dopo, arriva nel porto una nave carica di frumento, seguita da altro bastimento, che era stato noleggiato dal Senato e da altri quattro vascelli carichi di cereali.
Le navi furono prese d’assalto e ognuno poté portare a casa la sua razione di grano, cucinandolo, per mancanza d’ingredienti, nella maniera più semplice. Era il 13 dicembre e la popolazione, unanimemente decise che, da allora in poi, si mangiasse, ogni anno ed in quel giorno, solo cuccìa e legumi.
A Siracusa, tale abbondanza apparve a tutti miracolosa e col grano d’avanzo si provvide per le altre terre siciliane colpite dalla carestia.
Il capitano di una delle dette navi, disse poi che non aveva alcuna intenzione di entrare in porto, ma vi era stato spinto dai venti e che, appena entrato nel porto di Siracusa, era guarito di una malattia agli occhi che lo tormentava da qualche tempo.
Vero è che la “versione” cristiana” del mito serve a spiegare un rito ben preciso ed è altrettanto vero che la cuccìa è ad esso preesistente e la ritroviamo parimenti a svolgere la funzione di cibo rituale in occasioni diverse, anche se sempre legata a qualche festa di santo o commemorazione.
In Basilicata la cùcciàta è caratteristica nella commemorazione dei defunti, assumendo così, secondo l’uso orientale, l’aspetto di pasto funebre. Riporta a tal proposito Raffaele Riviello «In tutte le famiglie agiate sul fuoco stava il caldaio pieno di cuccìa (forse concia), cioè miscela di grano, granone e legumi cotti, per darla in limosina a quanti si presentavano a chiedere la carità innanzi all’uscio. Ed i poveri ne empivano più volte la sacchetta, da averne per una settimana. La commemorazione dei morti era quindi per i poveri giorno di abbondanza e di festa; per i credenti ricordanza di pietosa leggenda; per i defunti un lampo di vita, di quiete e di fugace peregrinazione nella terra natia»
In talune zone dell’Italia centro-meridionale vi sono alcune tradizioni che hanno al centro à cùcciàta. A Platì (RC), accompagna la festa di San Nicola. In alcuni paesi dell’entroterra siciliano, è legata ai culti di San Biagio e di San Nicola. In alcuni centri della Basilicata viene (od è stata) considerata una sorta di medicina preventiva perché, se consumata il primo giorno di maggio, evita la penetrazione di moscerini, i quali, potrebbero attraversare il foro dell’ano e dei genitali.
La cùcciàta parrebbe parente stretta, sia della kóllyva nel rito greco ortodosso (vivanda a base di grano cotto, spesso mescolato con chicchi di melograno, di uva passa, farina, zucchero in polvere) che si porta su un vassoio in chiesa alla fine di una messa di requie e si distribuisce ai presenti a glorificazione dei defunti, sia della kutjà russa, vivanda a base di grano (o miglio, orzo, riso) bollito.
La cùcciàta (o cuccìa) è certamente un alimento molto più antico della sua prima attestazione scritta. Il termine è annotato nel Vocabolario siciliano e latino di Lucio Scobar, stampato a Venezia nel 1519, dove cuchia (il digramma “ch” era pronunciato c”” in antico siciliano) è postillata “triticum decoctum” (grano bollito).
Da questo momento la voce entrerà nel lessico e gli studiosi si daranno da fare per stabilirne origini ed etimologia. Joseph Vinci, nell’Etymologicum siculum del 1759, vi ravvisa il termine greco cóccos, mentre il Pasqualino vi nota la voce siciliana “cocciu” (granello), e aggiunge che è chiamata così perché «è fatta di granelli di frumento».
La soluzione, oltre le pure e semplici assonanze linguistiche, la trova nell’800. Lo studioso Corrado Avolio, il quale propone il greco kokkía; e il contemporaneo Gioeni, il quale aggiunge che era chiamata cucchià in Arcadia
Il calabro-albanese Vincenzo Dorsa, a proposito delle costumanze calabresi connesse con la festa di S. Lucia, precisa che è «voce rimasta dai Greci bizantini, presso i quali coucìa rispondeva alla voce classica cuamòs fava, e che riguardava le civaje cotte delle Pianepsie ateniesi in onore di Apollo, dio che portava a maturità i prodotti della terra».
L’arabista Michele Amari, che crede di ravvisare nella cuccìa la «pasta di grano immollato, mescolato con latte, che si mangiava e si mangia in Egitto e si chiama ancora kesc»
Altri due arabisti, Da Aleppo e Calvaruso, correggono l’Amari e chiariscono che kessc vale propriamente “latte cagliato, mescolato con farina e seccato”.
La derivazione di cuccìa dal greco ta ko(u)kkía (i grani) è definitivamente accertata e sostenuta dagli studiosi moderni e senza bisogno di spingersi molto indietro nel tempo, come ad esempio il Ciàceri, che vi ha visto la sopravvivenza del culto di Cerere, dea del raccolto, sostituita, in epoca cristiana, da S. Lucia.
Si può ricapitolare la storia della cùcciàta dicendo che, in epoca già cristiana, la troviamo in Grecia quale cibo rituale nella commemorazione dei defunti e diffusa, secondo due direttrici, verso i paesi, di religione greco-ortodossa dell’Europa orientale e verso le regioni dell’Italia meridionale, dove l’usanza si estese alla festa di alcuni santi e a qualche ricorrenza laica con caratteri paganeggianti.
È da notare che lo studioso Carmelo Trasselli, sostiene che in Sicilia, “in origine la cuccìa doveva essere il nutrimento tipico della famiglia pastorale seminomade, che evitava di caricarsi di un centimolo”
Nel giorno di S. Lucia, in San Donato era tradizione preparare à cùcciàta, una minestra di cereali e legumi gustosissima, molto ambita dai “quatràri” che ne facevano incetta sin da prima dell’alba.
Detta usanza è probabilmente collegata alle carestie che fra il 16 e 17 secolo colpirono molte zone della penisola.
Una delle tante leggende popolari narra che pie donne, per alleviare la fame, durante la notte fra il 12 e 13 dicembre, depositassero avanti la porta dei bisognosi, corbelli contenenti cereali e legumi. La distribuzione venne attribuita ad un miracolo della Santa ed è probabile che l’uso della cucciata sia derivato dalla conoscenza di quest’opera di carità cristiana.
Non potevo tralasciare la festività che in un anno ricorre per ben 52 volte.
–Dùmìnica– È l’ultimo giorno della settimana, santificato da Dio, che lo scelse come giorno di riposo, dopo le fatiche sostenute per creare l’universo. Per i cristiani è giorno dedicato al Signore e quindi di adorazione e preghiera. L’obbligo religioso per il settimo giorno lo rileviamo nel vecchio testamento.
La prima legge civile sul riposo domenicale, è quella emanata da Costantino nel 321, normativa con la quale impose l’obbligo civile del riposo, nel venerabile giorno del sole il dominus, differenziandosi da quando espresso nella Bibbia dal Dio unico, riguardo la giornata del sabato.
Calendario pagano
Non vi è certezza, sulla circostanza che tutti i sandonatesi siano della stirpe dei bruzi od abbiano ancora nelle vene qualche goccia di quell’antico sangue.
Pur nell’incertezza assoluta, ritengo di potermi annoverare fra la razza discendente da quell’antico popolo e questa peculiarità impone che faccia cenno all’antico calendario pagano, mezzo attraverso il quale, i nostri antichi progenitori, governavano e regolavano vita ed attività.
Eccone le ricorrenze principali.
–Festa delle Ombre. Cadeva approssimativamente fra il 31 ottobre ed il 1° novembre, celebrava la fine e l’inizio dell’anno rituale ed era la terza ed ultima Festa del Raccolto. Era un tempo di transizione in cui il muro che separava i mondi si assottigliava ed era possibile celebrare la notte degli spiriti, momento propizio in cui i vivi possono comunicare con i morti. Per questo la ricorrenza era la più importante, partecipata e sentita celebrazione del culto degli antenati.
-Festa delle Luci. Cadeva il 21/22 dicembre. Era l’antica festa di metà inverno, con la quale si celebrava l’avvento della divinità dalle lunghe corna, raffigurazione mitica del solstizio invernale e simbolica rappresentazione della rinascita del sole e della prosecuzione della vita dopo la morte.
-Befania. Veniva celebrata il 5/6 gennaio, invocando Domina Oriens (Diana). Si celebrava il buon andamento dell’anno e si invocava la divinità-della caccia perché concedesse i suoi favori e proteggesse dalle insidie della vita
-Imbolc (Candelora) Cadeva l’1/2 febbraio. Era la prima festa a celebrare la luce e la fertilità ma anche il momento propizio per invocare la protezione degli antichi Dei, su tutta la famiglia
-Primiera Celebrata 21/22 marzo, era conosciuta anche col nome di Ostara ed era la seconda, di tre feste per la Fertilità che cadevano nel periodo dell’equinozio di primavera, tenute per. celebrare il risveglio della vita e quindi momento particolarmente adatto per seminare e propiziare cosi la prosperità.
-Calendimaggio. Conosciuta come Beltane era la terza ed ultima festa della fertilità ed era celebrata nel periodo30 aprile/1° maggio. Era il culmine dei festeggiamenti primaverili, in cui aveva luogo il misterioso grande rito ed anche momento propizio per invocare ed attirare su di sé l’amore ed i buoni sentimenti.
-Festa delle Erbe. Celebrata il 21/22 giugno era conosciuta anche col nome di Litha. Era l’antica Festa di Mezza Estate, coincidente col solstizio d’estate, con la quale si celebrava l’avvento della Grande Madre Primordiale, rappresentata dalla terra traboccante di fertilità e pronta a donare i suoi frutti. Era uso antico raccogliere le erbe medicinali e momento molto adatto per invocare la buona salute.
-Festa del Raccolto. Conosciuta anche come Lammas, veniva celebrata l’1/2 agosto ed era la prima delle tre feste celebrative del raccolto. Era anche il momento giusto per ringraziare gli dei che avevano concesso doni generosi e per invocarli a donare prosperità, per i mesi a venire.
-Templum Dianae. Celebrata il 13 agosto era dedicata a Diana e veniva celebrata per ringraziarla e propiziarsene i favori per i giorni a venire.
–Secunda. Cadeva il 21/22 settembre ed era conosciuta che come Mabon. Era la seconda festa consacrata al raccolto e coincideva con l’equinozio d’autunno. Secondo le consuetudini era un momento in cui rinnovare la propria scelta di fede ed in parallelo ribadire la propria libertà, mangiando simbolicamente il frutto proibito della conoscenza, nel corso di un rituale misterioso, del quale non ci sono pervenuti ulteriori particolari. Era la festa pagana che più si addiceva alle caratteristiche intrinseche delle genti bruzie che, è bene non dimenticare, della libertà ne avevano fatto dogma e fede.
“Minucciu”