Luigi Bisgnani
Dopo una ricerca appasionante, il nostro amico e sandonatese Minucciu,ci fa parte di una riflessione nella categoria Stuòzzi ì stòria :I’ stràini.
Per i sandonatesi “ù straìnu” poteva essere, sia qualcuno non appartenente “àra ràzza” (qui intesa nel senso di parentela o gruppo familiare), sia qualcuno non nato, non vissuto o non radicato nella popolazione locale, in buona sostanza un estraneo digiuno sugli usi, i costumi e le tradizioni paesane.
Questo era nella tradizione paesana, se vogliamo un po’ “repulsiva”, alla quale necessariamente bisognava aggiungere l’applicazione delle normative del regno su viaggi, trasferimenti e permanenze di stranieri e regnicoli.
Per le norme di legge del Regno di Napoli, la nozione di straniero spesso era accomunata a quello di vagabondo. Si riteneva che i forestieri, quali persone non residenti nello stato, privi di sede stabile e vaganti da un posto all’altro, erano da considerarsi dei vagabondi.
Era l’epoca in qui il viaggiare per turismo era prerogativa della “classe alta”, unica coi mezzi economici per permettersi il cosiddetto Grand Tour.
Le altre categorie viaggiavano o per fede (pellegrini ed altri personaggi dalle motivazioni religiose), o per incarichi (ministri regi ed altri personaggi al seguito della Corte) o per lavoro ed affari (mercanti ed operatori economici).
Non tutti quelli che giungevano nel Regno di Napoli avevano fissa dimora o praticavano un mestiere. Per limitarne permanenza e flussi, nel 1559 fu emanato il De Vagabundis, prammatica i cui contenuti erano inizialmente destinati agli stranieri.
Si volevano perseguire «le persone estere, et forastiere di qual si voglia stato, et conditione si siano, che al presente si trovano nelle città, terre e castelle del Regno, quali non fanno arte, officio, o esercitio alcuno».
Tali soggetti dovevano abbandonare il regno entro tre giorni, così voleva la legge cristiana del triduo sull’ospitalità. Nella prammatica si evidenziava l’uguaglianza vagabondo-forestiero e veniva introdotto il concetto di “lavoro stabile”, unica possibilità per il forestiero di non essere confuso e perseguito come ozioso e vagabondo.
Nel 1560 e poi nel 1585, in detta categoria vennero inclusi anche i regnicoli riconosciuti quali soggetti oziosi, socialmente pericolosi od autori di delitti, «ancorché tenessero, o veramente havessero moglie, et non tenessero robba, et intrata con la quale possano vivere, né fanno arte, né officio, né esercitio in modo alcuno con li quali possano sostentare».
Oltre che precisare le pene per i trasgressori ed inasprire il trattamento da riservare ad oziosi e vagabondi, le prammatiche avevano anche lo scopo di indurre le milizie locali al controllo dei forestieri, che andavano identificati e registrati. Di tale incombenza erano investiti «i capitani e gli officiali che pro tempore erano in ciascheduna di dette città, terre e castelli»
Agli inizi del 1600 tutti i bandi verso gli oziosi e vagabondi vennero rinnovati in chiave di controllo e di repressione del vagabondaggio.
La prammatica del marzo 1638 differenziò gli stranieri, i regnicoli stabilì e tutti coloro entrati nel Regno prima, ed anche quelli che sarebbero entrati dopo la promulgazione del bando, «senza alcuna distinzione di ceto, grado e condizione, e non praticassero alcuna arte o mestiere, dovevano andar via entro tre giorni.
Sempre entro tre giorni sarebbero dovuti andare via coloro i quali avessero perso il lavoro, a meno che non avessero trovato nuova occupazione». Coloro che invece erano venuti per negoziare avrebbero dovuto recarsi presso il Capitano o un Ufficiale che stava in ogni città, terra o castello per «dargli particolare notizia di sua persona, chi è, di dove, e donde viene, e la causa perché è venuto a negoziare, e dove ricetta».
La pena prevista, per l’inosservanza del bando, sommava a cinque o più anni di galera, mentre pene più severe erano previste per coloro che avessero dato asilo, ospitato in casa propria, o dichiarando falsamente di avere a proprio servizio quelle persone.
Nella prammatica del 1681, per coloro che venivano nella Capitale ad esercitare un lavoro o negoziare, vigeva l’obbligo presentarsi ai regi consiglieri della Gran Corte della Vicaria per notificare le loro attività.
In quella del 1724, coloro che vestivano l’abito di pellegrino erano obbligati a lasciare le città del regno entro tre giorni dal loro arrivo, ciò per evitare che, sotto mentite spoglie, genti provenienti da altri paesi del Regno potessero risiedervi fraudolentemente.
Le prammatiche citate vanno sotto il titolo De vagabundis, seu erronibus, ed erano integrate dalle prammatiche De officio magistratus politiae in Urbe et Regno.
Il controllo dello straniero extra-regno veniva considerato un problema di ordine pubblico tanto che nell’aprile del 1638, un mese dopo la pubblicazione della De Exteriis, vennero bandite pene severe quali, «10 anni di relegazione per i nobili e 10 di galea per i non nobili» e per chiunque avesse introdotto forestieri nelle città, casali, borghi e distretti o non avesse denunciato gli stranieri che ospitava, sia come privato, sia come gestore di «alloggiamento, camere locande, o qualsivoglia altra sorta di ospizio» nonché per «carrozzieri, lettighieri, mulattieri, vetturini, seggiari, barcaioli, feluchieri e marinai».
Le dichiarazioni dovevano farsi “a ministri deputati”, quali giudici di Vicaria, commissari di campagna e nel caso di padroni di barche, al guardiano del porto.
Gli Ufficiali preposti alle verifiche ed i vari ministri avrebbero dovuto visitare due volte la settimana i luoghi ove si potevano ospitare stranieri e farne rapporti da inoltrare per conoscenza al Viceré ed al Consiglio Collaterale.
….. continua….
Minùcciu