Stuòzzi ì storia :Nòmura, Nòmira e Agnòmira

Luigi Bisignani

Ricevo da Minucciu e con piacere pubblico

CULTURA

 

 

Nòmura, Nòmira e Agnòmira

cultura-sandonatese.jpg Fino a circa la metà del secolo scorso, nel nostro paese il termine “nòmi” aveva una differente pronuncia legata al quartiere dove il sandonatese era nato e cresciuto. L’arcaico “nòmura” era tipico ed in uso nei sandonatesi nativi della “zona antica” (Mòtta, Tèrra Càpucasàli); nòmira, moderno e più vicino alla pronuncia “àra tàliàna”, veniva utilizzato nei rioni di formazione successiva, nei quali, a partire dall’XI secolo e seguenti, si erano stanziati “mitùoichi e ggènti fòrastèra” (Casàli ì vàsciu, Chjàzzavècchia, Chjàzzanòva, Siddhàta e Pètra à Cànnia),

La toponimia del territorio sandonatese, gia trattata con Ninaia, è stata oggetto di ulteriori analisi circa etimologia e storia e di approfondimenti sui criteri che hanno guidato i nostri avi nella scelta dei nomi.  

Ho tratto utili notizie da “Note di toponomastica”, studio pubblicato on line da tale Bruno (l’autore non fornisce di se altri dati identificativi), dal quale ho tratto elementi che possano rendere più chiara l’origine ed etimologia sui nomi attribuiti a varie località calabresi, alcune delle nostre terre.

Cito testualmente dallo scritto: “gli Enotri nella zona di Cosenza, con capoluogo Ninaea oggi San Donato di Ninea (CS) che spartivano il territorio coi Brutii localizzati a San Marco Argentano (CS) antica Argentanum” e qui formulare critica nei confronti dell’autore che, nella circostanza, poteva essere più completo e far cosa gradita indicando le fonti da cui ha tratto la notizia sul nostro paese.

Ho riesaminato tempi e modalità con le quali l’antica Ninea è divenuta San Donato e riporto l’opinione di coloro che hanno ipotizzato la derivazione dell’attuale toponimo dal termine “terra donata” di epoca precristiana. Dando però più credito all’ipotesi che l’antica Ninea sia stata fondata nelle terre della piana sandonatese (anticamente paludosa), possiamo accettare che l’attuale nome sia un fitonimo e derivi da “donakès” (in greco antico “canne”) di cui la zona paludosa doveva essere ricca. I toponimi “terra donata” o “donakes” (probabilmente vigenti ed in uso attorno al V-VI secolo) avrebbero successivamente facilitato l’adozione dell’agionimo “San Donato”.

Ulteriori notizie riguardano:

Arcumànu: termine di etimologia relativamente incerta. Potrebbe essere il risultato di una distorsione dialettale operata nei confronti dei termini latini “arx” (altura, cima, rifugio, cittadella) e “maneo” (rimanere, dimorare sovrastare), o “manes” (spiriti dei defunti, anime dei morti, ceneri, avanzi mortali).

Questo, in antico, farebbe della frazione sandonatese il luogo in cui gli abitanti della malsana piana circostante si erano insediati; in alternativa, designerebbe un luogo ove venivano seppelliti e venerati i defunti (la sopraelevazione per gli antichi avvicinava al cielo).

Non è da escludere l’unione dei termini latini “arx” e  “àmoeno” (ameno, ridente) usati per distinguere la salubrità del piccolo colle rispetto la piana circostante. Un po’ forzata pare la derivazione dal greco “archè” (principio) e “màndra” (qui con significato di monastero), per identificare il confine iniziale di una zona pertinente un centro religioso di rito greco. Azzardata pare anche l’ipotesi che il termine possa essere una corruzione dialettale del latino “arx omnium”, (altura di tutti, proprietà comune dei villaggi circostanti).

Càliva; nome del rilievo montuoso sandonatese, nel quale potrebbe esservi richiamato il toponimo “Carbia”, antica e mitica città fenicia, fondata presumibilmente intorno all’VIII-VII secolo a.C., la cui etimologia è tuttora oscura, pur trattandosi di una voce preromana.

Altri autori hanno ipotizzato un adattamento tutto sandonatese del termine albanese “Kòliva joskàrit, col quale si indicava lo spazio interno ad un possedimento, destinato a luogo di incontro sia per misurare i prodotti, sia per erogare le retribuzioni.

Da notare che il termine “Kàliva” veniva utilizzato anche per identificare un manufatto su terreni agricoli, utile ai fini di una ottimale gestione della produzione agro-silvo-pastorale. Il vocabolo non è foneticamente dissimile da Bagliva, termine che, sin dall’epoca normanna indicava una circoscrizione territoriale (e per taluni alcuni aspetti anche amministrativa), nel cui perimetro erano inclusi due o più casali contermini. Personalmente propendo per questa ultima ipotesi tenuto conto che nei pressi del suddetto monte si trovano ampi pascoli e cavità naturali quali “ù gùpu ù fùliu e grùtta i faràci”, strutture usate, sia dai pastori-allevatori osco-bruzi, sia dai popoli sopravvenuti come ricoveri, posti di guardia, luoghi di avvistamento.

Gàvudu; nome di una località delle montagne sandonatesi. Il toponimo potrebbe essere un dialettale del termine arabo “gabal” (monte) oppure originare dalla distorsione del longobardo “walt” (bosco, foresta), poi accolto nell’antico italiano “galdo”, termine col quale si indicava una zona boschiva.

Grupu ù Fuliu; cavità naturale, nei pressi della Calvia. Il nome deriva dal termine greco “forbayòs”, ricco di pascoli o pascolo allo stato brado, derivato da “forbàs” (che da cibo). In antico, non si esclude che la cavità e le zone circostanti, siano state sedi estive per pastori ed allevatori e che la stessa grotta possa aver avuto funzioni di riparo naturale.

Grùtta ì Faràci: cavità nella zona della Calvia. Il nome probabilmente deriva dal termine greco antico “farages-aggòs” (valle, gola, ma anche burrone, dirupo), forse riferibili all’asprezza della zona che, comunque, potrebbe essere stato uno spazio in cui trovare riparo ed un ottimo punto di avvistamento e difesa.

Secondo altri studiosi, “faràci” dovrebbe derivare dal medioevale fallax, dal verbo latino fallere (ingannare), da “fallax acis” (fraudolento, ipocrita, ingannevole) e da “fallacia” (inganno, frode, intrigo, trappola); in tal caso il nome potrebbe essere collegato ad un episodio di inganno o tradimento.

Altra interpretazione lo collega al termine greco “fallòs” (con significato di “membro virile”) ed avere nessi con antichi riti propiziatori di virilità e fecondità. Antiche popolazioni calabresi, bruzi  compresi, praticavano, culti fallici, alcuni legati al dio Dionisio e rimasti per secoli riti di carattere apotropaico, praticati presso talune comunità rurali meridionali fino all’alto medioevo.

Da non escludere l’attinenza col germanico “fara”, termine che indicava più famiglie con capostipite comune. Le “farae” longobarde erano organismi politico-militari ed il termine ha anche indicato un territorio abitato da un gruppo interfamiliare, dando origine a toponimi nati da stanziamenti di antiche genti longobarde attraverso la trasformazione del termine Fara, in Farace.

Tale eventualità sembra trovare un riscontro in antichi personali (nomi, soprannomi) nelle aree meridionali, quali l’italico Falacer, Falacris o l’arabo-greco Faras, tradotti in Farace, tenuto conto che Faras è tuttora un nome arabo di origine greco-ellenistica, ed il termine faras, in lingua araba assume il significato di “cavallo” mentre l’arabo farag ha significato di  gioia, felicità, contentezza.

Il greco “charak (incisione), e l’arabo “farag” (gioia), sarebbero riconducibili al “personale” Farace, diffuso nel mondo arabo. Importato nel Sud Italia con le prime in-cursioni arabe (625 d.C) s’é esteso nel resto dell’Italia meridionale, in specie nei territori colpiti dalle incursioni islamiche (quelle avvenute fra il 903 ed il 909 potrebbero aver causato il trasferimento dell’abitato di San Donato dalla piana alla Terra).

Lìcastru, nome di una frazione delle terre sandonatesi. Il toponimo potrebbe derivare dal greco arcaico “licmayos” [che vaglia il grano, che protegge il vagliatore (da “licnon”, canestro, cesto e  “licmao”, vagliare, trebbiare)]. Il termine potrebbe avere radici nel nome di una delle divinità protettrici delle attività agricole, questo riferito all’antica tradizione che vuole la piana sandonatese coltivata a cereali e ricca di aie. Potrebbe anche avere riferimenti col greco  alys (sale) ed essere un adattamento del termine “alikàres” (lavoratore alle saline), qui usato per indicare sia un luogo di ritrovo, sia il nome di una proprietà appartenente ad un lavoratore delle miniere di sale.

Massanova; alle notizie gia note è da aggiungere che nel periodo Longobardo (era “barbarica” tra quelle che hanno lasciato maggiori tracce nella toponomastica), nel linguaggio compare “massa”, termine latino col quale si identificava la “tinùta”, a “difìsa”, a “màssarìa” costituita da numerosi “funni” (poderi) coltivati dai coloni. Nel X sec., alcuni dei più estesi di detti possedimenti si trasformano in feudi ed il centro maggiore si fortifica e accoglie la residenza del signore.

Pàpanicòla: zona montana delle terre sandonatesi. Deriva dal termine greco “papàs”, [in sandonatese antico  pàta o pàti, (vedi Pàtitèrnu)] che unito al nome Nicola assume significato di “padre o prete Nicola”, il che fa presupporre che il toponimo indicasse una proprietà di un prete, oppure un fondo boschivo collegato ad uno dei tanti antichi romitori insediati sulle nostre montagne;

Pìrticuòsu;  zona montana sandonatese ai confini con le terre di Verbicaro.  I toponimi come Perticara,  Perticaro,  Perticoso, sono di chiara origine germanica e attestano la presenza longobarda. La zona e un balcone naturale sulla valle dell’Abatemarco ed è probabile che in età longobarda vi fosse un presidio a guardia della viabilità di fondovalle. Il toponimo deriva dal longobardo “pargaias” (bosco dei cinghiali, dei verri) forse riferito all’allevamento di suini la cui carne fra i popoli germanici in epoca medievale era di ordinario consumo.

Pùligastrièddhu; nome del vecchio ed autonomo comune, divenuto frazione sandonatese nel XVII secolo. Qualcuno ha ipotizzato la derivazione dai termini greci  “polys-kastellion” (città accampamento) ma è valida anche l’ipotesi che lo fa originare dai termini greci “polys” (città, villaggio) e  “alykàres” (lavoratore alle saline), che darebbe al toponimo significato di villaggio o città di residenza di persone impiegate nell’estrazione e lavorazione del sale.

Sàntunucìtu; località delle terre sandonatesi piantumata a castagneto, che i “quàtràri” (e non solo loro) hanno utilizzato come “campo sportivo” (era l’unico pianoro dove poter decentemente e tranquillamente giocare a pallone). Pare che il nome derivi dalla presenza di una chiesetta dedicata a S. Niceto (o Aniceto, undicesimo papa dall’anno 155 al 166) e ricavata parzialmente all’interno di una enorme “cùpa i castàgna”, poi distrutta da un fulmine nel corso di un temporale

Tàvulàru; in altro contesto ho ipotizzato che il toponimo potrebbe derivare da soprannomi originati dal mestiere di boscaioli produttori di tavole. Ulteriori ricerche non escludono la derivazione dalla corruzione dialettale del termine greco ”tavoularis” (scrivano), poi assurto a cognome.  Il mestiere di “tabularius” (questo termine è di epoca romana), era praticato in specie dai liberti (schiavi liberati) che esercitavano la funzione di scrivani pubblici con anche compiti di convalida di atti di compravendita o di cessioni ereditarie (equivalente la professione dei notai in epoca medioevale). Presso le legioni ed i presidi cittadini i “tabularii” rivestivano anche la funzione di ragionieri addetti alla registrazione e contabilizzazione delle imposte. La zona di “tàvulàru” si prestava a questa funzione tributaria legata allo sfruttamento delle vene di sale affioranti dal terreno, ma non è da escludere che il nome fosse in relazione al possesso od all’assegnazione delle suddette terre ad un liberto.

Vàddh’à Gàna; chiaro il significato di “valle”; il termine “gàna” è un probabile adattamento dialettale del termine greco “ganòs” (splendore), riferito sia alla bellezza od alla luminosità del luogo, sia alla floridezza della vegetazione e quindi usato a palesare il significato di “Valle dello splendore”.

Trattando l’argomento “nòmi” m’è venuto naturale prendere in esame anche gli “agnomi” (taluni ancora in uso) che distinguevano le “ràzze sandonatesi e dei quali ho cercato di chiarire, l’origine ed etimologia.

Eccone alcuni:

Ciccarèddha; è uno dei tanti vezzeggiativi sandonatesi del nome Francesca e come spesso accaduto ha assunto rango di agnome per una intera “ràzza”;

Galimèju; agnome di famiglia sandonatese che potrebbe derivare dal termine arabo “al iman” (la fede), nel tempo deformato nel dialettale Alimeno ed assurto a nome proprio del capostipite, probabilmente immigrato nelle nostre terre da Saracena, presidio barbaresco in terra calabrese.

Miccareddha; è un altro dei tanti diminutivi dialettali sandonatesi riferito al nome Domenica ed anche in questo caso è divenuto agnome che ha distinto una “ràzza”;

Mishjùni, è un accrescitivo del dialettale “Mìshu”, deformazioni tutta sandonatese del nome Domenico. Anche questo termine ha assurto ruolo di agnome che ha contraddistinto una intera “ràzza”;

Pàtagghjòshja; l’agnome potrebbe derivare da termini tardo latini, quali “pata” (padre, ma anche prete) e “Joshua” (Giòsue), da che se ne ricava che la “ràzza” distinta con tale soprannome, avrebbe come capostipite un religioso identificabile in “padre o prete Giosuè”. Il soprannome in esame potrebbe anche derivare da una corruzione dialettale del termine greco “Phantasòs” (nome greco di Fantaso, figlio della divinità che proteggeva il sonno). Potrebbe anche essere una distorsione del greco antico “phàsma”, termine col quale si indicava una apparizione, uno spettro.

Spàracìtu;  dovrebbe derivare da voci dialettali, poi assurte a soprannomi collegati od inerenti l’asparago. E’ probabile che derivi da un’allusione a caratteristiche fisiche del capostipite (altezza combinata con eccessiva magrezza), ma appare più verosimile che l’agnome avesse in qualche modo a che fare con il lavoro di ricerca e vendita degli asparagi selvatici.

Ribeccu, sopranome probabilmente derivato da un alterazione dialettale dell’ebraico “Rebekah (Rebecca, moglie biblica di Isacco), o dal soprannome “ribekah, qui con significato di paffutello (trùgghju).

Giugno 2016

Minùcciu

 

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