Luigi Bisignani
Minucciu c’invia e pubblichiamo ,la terza parte di questo grande racconto ‘I carcirati a San Donato di Ninea”.
Naturalmente, oltre la satira e l’umorismo dei canti di carnevale, esistevano anche componimenti seri con risvolti sentimentali, ispirati dall’amore carnale.Di questi componimenti non esiste traccia scritta ma solo ricostruzioni parziali fatte a voce da persone più anziane di me.
Nella descrizione delle tradizioni carnevalesche, ho anticipato la ricerca effettuata su testi che illustrano la società calabrese dal 1700 in poi. In particolare ho focalizzato la poetica della Calabria citra, quella porzione di territorio, con lingua, tradizioni e costumi omologhi, comprendente anche San Donato di Ninea.
Leggendo, ho costatato che c’erano forti corrispondenze fra testi scritti e le versioni orali fornitemi dagli anziani di San Donato. Nonostante le leggere differenze di pronuncia e varianti nel dialetto fra paese e paese, i testi, la metrica, i contenuti e gli scopi delle canzoni erano uguali a quelle che avevo sentito cantare da ragazzo. Queste circostanze mi hanno fatto sospettare che, a suo tempo, l’autore fosse stato unico.
Se la mia ipotesi ha un minimo fondamento, la distribuzione dei componimenti poetici e canori nel territorio, può essere, anzi, sicuramente è avvenuta grazie a contatti fra popolazioni di vari paesi, durante le varie fiere e feste. Oppure per opera di commercianti ambulanti, “cavudarari” mulattieri, braccianti, raccoglitori di olive, mendicanti. Si pensi ad esempio alla concentrazioe di umanità varia durante “ u Pittirutu a Santusuostu, A madonna o Muntu ad Acquafurmosa, u sia i jnnaru a Santudunatu, Santu Vastianu a Pulicastrieddu” tanto per citare le più affollate. L’adattamento alla lingua locale non era ostativo e le modifiche, erano dovute ad adattamenti ed aggiunte della trasmissione in forma verbale.
Non dimentichiamo che, anche in San Donato, nei secoli “ganu fattu razza” numerose famiglie forestiere, accolte ed integrate perfettamente ed i cui discendenti sono stati “santunatisi” gia dalla prima generazione Gli “immigrati” dell’epoca hanno iniettato nel tessuto culturale del paese qualcosa delle proprie tradizioni.
Per brevità trascrivo solo i componimenti più espressivi, con argomento l’amore sofferto com’era a qui tempi; siamo sempre a metà del 1800.
1) Questo canto è diretto ad una ragazza riottosa
Gasi, catàrra mia, cordi ’argientu
Sona, ca ti li fazzu tutti d’oru
si tu fasi annanzà, ppi nnu mumentu,
a quira finestra, annàmurata mia.
Sona e caccia suspiri a cientu a cientu,
chianci catarra, mia, intinnìrisci u còri.
Si ghìddha e tantu trista e non ti senti,
canta catarra mia, e dìci ca mùaru.
2) Questo componimento loda la riservatezza nei comportamenti.
Vaju ara missa, ppì guardàdi a tutti,
ma, specialmente, ara quatrara mìa.
Havìa nnà vesta i sita, tutta russa,
e cchju beddha i l’àvuti parìadi.
Ghja fazzu finta ca tiègnu à tussa,
quìssu ppà fa vutà addhùnni mìa,
ghiddha si vòtadi, ccù ra faccia russa,
fìngidi i s’aggiustà e guàrdadi a mmìa
3) Anche qui gli innamorati adottano tutte le precauzioni “ppì non finisci sùpa à vùcca da genti”.
Quannu pàssu a qua fazzu l’onestu
e ppì non fa capisci, cà nnàmamu
vàsciasi l’uocchi e ghja vàsciu a capu.
Ghedi u signali, ca nnì salutamu
Argomento di poesia era anche la misera condizione della popolazione minuta soggetta alle prepotenze ed ai soprusi. Il seguente componimento è la voce più straziante:
Nonn’aiu shjòrta i dormi ntà nù lìettu
nnè mmàncu di mi fàdi nu pàgghjaru.
Gùnu nnèju fattu, mpedi a nà ruvetta,
vènidi a genti bbona e mì l’ha sfattu.
Ppù mùnnu l’aja vidi ji dimerta
cumu fanu ji ammìa, senza pagghjaru.
Mi è stato riferito che il componimento era relativo ad un episodio vero accaduto ai primi del 1800. Una potente, ma più che altro prepotente e ricca famiglia del rione “Motta”, aveva dichiarato “i costi da terra” sua proprietà e, in pieno inverno, fece distruggere ”nu pagghjaru”, edificato da un miserabile e suo unico riparo. Una sola attività si poteva fare in quella costa impervia, farci pascolare capre.
4) Non meno comica ed amara è la situazione descritta nel componimento che segue:
Amaru a mmìa addhuvi simminaj
mpedi a jumara, mmienzu a dui vaddhuni.
Simminaj granu e gaju mitutu guai
vaju a pisadi, ghèssinu pagghiùni.
Vènidi u rìccu, ppì ssì l’accattadi,
e inveci i soldi, mi dà sicuzzuni.
Vaju ara curti, ppù fà judicadi
ù judici mi mìntidi mprigiuni.
Vaju aru lìettu, ppì mmì ripusadi,
caju e scafazzu nù picciuni.
Vaju aru fuocu, ppì mmù cucinadi,
a gatta àvìadi pisciatu i carivuni.
5) Non poteva mancare un accenno alla poetica delle persone aduse a vivere di prepotenze, irriducibili anche davanti alla prospettiva della galera. I due componimenti che seguono, a suo tempo li ho sentiti citare da persone anziane, quando raccontavano storie di briganti latitanti e più in genere, di delinquenti irriducibili, definiti “genti tosta”. Le poesie sono databili, con buona approssimazione. tra il 1870 ed il 1900.
Scrivi nimicu mìa, scrivi ccà pinna
forsi ti ghessi, à morti, la cunnanna
tu tenisi carta, calamaru e pinna
ghja pùrugula e paddhj, aru cummannu.
Tu sì lù vicirrè i quistu regnu
e ghja sugnu ù rrè di la muntagna.
Tànnu, nimicu mia, tànnu m’arriennu
quannu la capu mia ghedi ar’antinna.
6) Sugnu galera mmita e nommi pientu,
sugnu galera mmita e minni vantu.
Nu tamarrieddhu m’a ruttu nù denti
e l’ha pagata ccù suspiri e chianti.
Gaju distruttu a ghjddhu e ari parienti,
do sanghu sua màiu fattu nù mantu.
Mo staiu galera mmita e non mmì pientu,
sugnu galera mmita e minni vantu.
Naturalmente, l’esposizione è molto riduttiva e non rende giustizia ad una produzione ricchissima, variegata e piena di componimenti. Detta produzione avrebbe meritato ben altra fortuna che il dimenticatoio. Per questioni di spazio e soprattutto, convenienza, tralascio di illustrare i canti religiosi, tanto per non mischiare sacro e profano.
Mi riprometto, se ci sarà interesse, di ritornare in futuro sull’argomento, magari dopo ricerche più approfondite.
I brani, frutto della memoria degli anziani sandonatesi, sono stati verificati su testi a suo tempo raccolti da Cesare Lombroso, Caterina Pigorini Beri, Vincenzo Padula, Nicola Misasi ed altri autori fra i quali Vincenzo Monaco. Di quest’ultimo sono stato alunno quando frequentavo le scuole elementari.
Tutti i personaggi e gli studiosi citati, sono autori di indagini, ricerche e pubblicazioni, su popolazione, usi, costumi, tradizioni nell’ambiente calabrese fra il 1700 ed il 1900. Ho preso in esame gli argomenti riguardanti la Calabria citra.
Ottobre 2011
Minucciu
6 commenti
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Grazie di nuovo, resto in attesa di leggere altre perle.
Cordiali saluti! Giovanni Benincasa
Autore
Prova tecnica ,problema server
la redazione
Carissimo Minuccio, in merito ai tuoi racconti, mi farebbe piacere se avessi in serbo qualcosa per le Festività di Natale. Grazie!
Saluti!
Egregio Benincasa
Cosa ci porterà Natale,al momento non lo so. Devo pescare nella memoria
e sperare che non mi giochi brutti scherzi. Spero di non deludere i miei due o tre lettori. A presto e saluti. Minucciu
Caro Minuccio,
credo di aver individuato che sei il mio compagno di infanzia, io sono anche su facebook, (non come Renzo, ma come Andrea) comunque , se vuoi, mettiti in contatto.
Un abbraccio
Ciao Renzo.
Ti aveva gia risposto nei commenti a Ntoniu e ti avevo rammentato i giochi con le frecce ricavate da ferri d’ombrello. Si sono proprio io, il compagno di giochi e vicino di casa. Mi mettero di sicuro in contatto,non appena risolvo un problemino al mio computer.Ti scrivo da quello di un amico. Ciao e stammi bene. Minucciu