STUOZZI I STORIA: U’ dàzziu; parte prima

Luigi Bisignani

STUOZZI I STORIA: U’ dàzziu; parte prima

 

La tassa, con qualsiasi denominazione o motivazione imposta, nei sandonatesi ha sempre provocato sintomi da orticaria:

Uno dei più odiosi aggravi che ci ha portato la conquista piemontese è stato il dazio, imposta che, superando i secolari schieramenti dè pàrtiti, tutte le categorie sociali sandonatesi unanimemente disapprovavano perché colpiva i consumi, quindi la povera gente che, non avendo proprietà e tutto ciò che consumava doveva acquistarlo.

Questo sentimento di rigetto, che era comune nella maggioranza comune nei sandonatesi, così come era comune a tutte le altre popolazioni della provincia cosentina, non poteva sfuggire a Vincenzo Padula, fondatore e direttore del giornale “Il Bruzio”, che, all’argomento, dedica due articoli pubblicati il 2 ed il 6 aprile 1848.

In corsivo forniamo una sintesi dell’intervento sulla attuazione della legge istitutiva del dazio.

 

“”” Essendo imminente la riunione straordinaria del Consiglio provinciale per l’attuazione della legge sul Dazio-consumo, ne pare opportuno spendervi qualche parola.

I comuni dell’attuale regno d’Italia sono 7751: il ministro delle Finanze avendo bisogno di 35 milioni, potea dividere questa somma in tante quote quanti sono i comuni, ma quote diverse secondo il diverso numero degli abitanti e ‘l vario movimento del commercio, e dire poi a ciascuno: Dammi la tua quota in tante lire, ed imponi tu a tuo senno il Dazio-consumo su quei generi che meglio ti piacciano, e pensa anche tu al miglior modo, ed alle spese di percepirlo.

Era codesta la via più corta: il ministro ha scelto la lunga, e non badando che altra è la maniera di vivere presso noi ed altra nell’Italia superiore ha fatto il conto senza l’oste, e la sua legge non gli darà il frutto che ne sperava

Nel nostro circondario due soli comuni, come quelli che hanno una popolazione da 8 a 20 mila abitanti, sono di 4.º classe, e quindi comuni chiusi a tenore della legge, e sono Cosenza e S. Giovanni in Fiore

Tutti gli altri comuni (tranne Montalto e S. Fili, i quali, e ciò torna a loro lode, hanno chiesto di essere dichiarati chiusi), sono tutti aperti, quale per non avere la popolazione richiesta dalla legge, e quale per trovarsi situato in modo da non potersi chiudere con linea daziaria.

Lasciamo dunque da parte i quattro primi, Cosenza, S. Giovanni in Fiore e Montalto, e parliamo degli altri che sono aperti.

È chiaro che tutti questi comuni non oltrepassando gli otto mila abitanti, ed essendo aperti, sono tutti di 5.º classe. Ed essendo aperti, il Dazio-consumo non cade sull’ introduzione delle bevande e delle carni, ma sulla vendita. Tutto dunque sta nella vendita. Se vi è vendita, il Governo percepisce qualche cosa; se non vi è vendita, non percepisce nulla.

Ad esempio, un comune aperto non pagherà nulla né per l’introduzione, né per la vendita del mosto dell’uva, dei maiali, dei maiali da latte (che in tutt’Italia si chiamano porchetti e porchette) degli agnelli, capretti, pecore e capre, né della carne salata, né della carne fresca, purché non sia carne bovina.

Restano perciò gli altri generi che in un comune di 5.º classe pagheranno 58 grana per ogni due barili di vino od aceto, e 14 carlini per altrettanto di acquavite.

Ora considerando che ciascuna famiglia ha il suo botticello di vino, e distilla ogni anno la sua provvisione di acquavite, noi chiediamo quanto vino, quant’acquavite si può mai vendere in piazza, perché il governo ne percepisca almeno ciò che basti a pagare gli agenti destinati alla riscossione della tassa, e l’alcoolometro di Gay-Lussac per vedere se l’acquavite che si vende sia sotto o sopra ai 59 gradi?

Se il Ministro avesse conosciuto le nostre condizioni economiche non avrebbe parlato a noi poveri Calabresi nè di maiali di latte, né dell’alcoolometro di Gay-Lussac; ma egli ha giudicato i nostri comuni su quelli dell’alta Italia, e qui è stato il suo inganno.

Colà quasi tutti i comuni sono chiusi, perché recinti da bastioni e da fossati hanno una linea daziaria definita; colà il consumo delle carni e bevande è incalcolabile perché tutte le famiglie, anche le più ricche, vivono in piazza, e mangiano in Trattoria, ed i magazzeni che nelle nostre abitazioni sono a pian terreno cola sono nell’ ultimo piano, perché non servono a contenere le provvisioni che si fa ciascuna famiglia calabrese di commestibili di bevande.

Da ciò segue che a tenore dello art. 16 della legge si può dire al ministro: Sul provento del Dazio-consumo io ti assicuro venti ducati all’anno: se ne sei contento, bene; in caso contrario manda pure a tue spese gli agenti che lo riscuotano. Ed in ambi i casi è evidente, che il ministro non percepirà quanto ei credeva per raggiungere la cifra dei 35 milioni. Quindi è chiaro ch’essendo tutti i comuni non della sola Calabria ma di tutte le provincie Napoletane in condizioni presso a poco simili, la legge del Dazio-consumo è inapplicabile a loro, ed infruttuosa al Governo.

Guardiamo ora i comuni chiusi. Cosenza, abbiam detto, è comune chiuso: ma già in Cosenza la tassa di Dazio-consumo preesisteva alla nuova legge, e si riscuoteva tutta a vantaggio del comune. Ora però dovendosi riscuotere a favore dello Stato, è chiaro che il comune fa una perdita. Dunque, diranno i lettori, le legge del Dazio-consumo è inapplicabile ai nostri comuni aperti, e dannosa ai nostri comuni chiusi. Così diranno i lettori, ma non così vogliam dire noi.

Prima di tutto noi vogliam dire che la legge è giusta, né nuoce di troppo all’ interesse dei comuni. È da sapersi infatti che la tassa del Dazio-consumo a vantaggio dello Stato era già in vigore nelle provincie subalpine, Lombardia, Romagne, provincie Modenesi, Parmensi, le Marche e città di Napoli, le quali contano una popolazione di 11 milioni e 575 mila, e pagavano la tassa di 17 milioni, 302 mila e 567 lire.

E non era in vigore nelle provincie Napoletane, nella Toscana, nella Sicilia e nell’ Umbria che contano 10 milioni, e 604 mila abitanti. Con veniva dunque che queste provincie avessero la tassa, e ‘l ministro la impose nell’ idea di percepirne all’ anno 17 milioni, 697 mila e 433 lire per raggiungere la cifra dei 35 milioni. Il calcolo fu sbagliato, ma il motivo della legge era giusto.

Ora facciano i Sindaci che i loro Comuni fossero dichiarati chiusi, e la Legge diverrà fonte di ricchezze. A tenore dell’art. 13 il Consiglio comunale acquista la facoltà d’imporre sulle carni e bevande una tassa addizionale alla governativa. Più: può imporla su gli altri commestibili e bevande, sulle legna da fuoco e da costruzione, sulla introduzione delle frutta, dell’olio, del pesce, del sapone, dell’olive e dei cereali. Più: a tenore dell’art. 17 i Comuni possono abbonarsi col Governo per la riscossione del Dazio-consumo, e ritenere per sè una parte di ciò che eccede il minimo del provento, che si garentisce.

Ed è tempo di far tutto questo. I nostri Comuni sono sporche, fetide e affumigate aggregazioni di casupole, non hanno strade, non fanali di notte, non teatro, non ospedali, non ricoveri di mendicità, non biblioteche comunali, non macelli e forni tenuti a conto del Municipio, e che servono ad impedire il caro prezzo degli altri macelli e degli altri forni. E questi ed altri beni sono in tutti i Comuni dell’alta ltalia; e di quì pulitezza, e di qui civiltà; ed ottennero quei beni con le imposizioni comunali, mentre noi vogliam tutto per sussidio del governo. Nei nostri municipii i Consiglieri sono la più parte proprietarii, nè amministrano bene per non ledere i loro interessi.

Chi di loro metterebbe un dazio sulla introduzione dei cereali, dei legami, delle castagne, delle olive? Conoscono spesso il bisogno, e sbalestrano in imposizioni che ledono gl’interessi dello Stato. Così in vari comuni si volca mettere un Dazio sull’esportazione dell’olio; ma nessuno (com’era giusto) pensò di metterlo sull’introduzione dell’olio, o dell’olive nei magazzeni del proprietario.  Abbiamo lodato S. Fili e Montalto che àn chiesto d’ essere dichiarati Comuni chiusi, e vorremmo che l’esempio fosse seguito. In questo modo se la legge darà poco frutto al Governo, ne darà a noi moltissimo.

Questa era la una porzione dell’imposizione fiscale a metà del 1800; nella seconda parte della narrazione vedremo che i “rapaci” che defraudavano le popolazioni non si annidavano solo fra gli organi dello stato savoiardo, ma nello stesso tessuto sociale calabrese.

Settembre 2024

Minùcciu

 

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