Luigi Bisignani
STUÒZZI Ì STÒRIA. (parte terza)
Minùcciu bbì cùnta cà, i fèsti sù còs’àntìchj….
–U’ màjàli– Era ed è rimasta festa pagana, con antiche radici nei sacrifici alle divinità patrone di agricoltura e pastorizia, alle quali venivano sacrificati animali, le cui carni erano consumate nel corso di cerimonie rituali a sfondo conviviale. È un uso ed una tradizione radicata e sentita fra i vecchi sandonatesi che si dedicavano a questa attività nei mesi freddi, favorevoli alla conservazione e lavorazione delle carni.
In Calabria, i mesi di gennaio e febbraio erano strettamente connessi all’uccisione del maiale, rituale che in passato aveva il suo culmine al 17 di gennaio, probabilmente perché ricorreva la festività di S. Antonio abate
In questo giorno, le bestie, quale patrimonio di famiglia, venivano portate in chiesa per essere benedette, ad eccezione del maiale destinato alla macellazione.
Era usanza invitare amici e parenti al pranzo organizzato per festeggiare l’uccisione del maiale e di recapitare “nù piàttu ì frìttuli” ai vicini di casa ed alle famiglie amiche.
Dòppu à sciàsciàtùra, pratica rigorosamente maschile, il peso della lavorazione delle carni del maiale ricadeva tutta sulle donne, fra le quali ricorreva una specie di “mutuo soccorso”, nel senso che alle lavorazioni partecipavano, a titolo assolutamente gratuito, amiche, parenti e vicine di casa. Ciò era possibile grazie alla oculata programmazione delle uccisioni, per le quali si rispettava un turno di rotazione annuale.
I primi “pezzi” a prendere forma erano i più grossi, prìsùttu, spàddha, càpaccuòddhu, sàlàtu, vùcculàru, ai quali seguivano sùpprìssàti, sàvuzìzzi, vrìshjòli cui seguiva ù pìzzènti, saporitissimo insaccato realizzato con pezzi della coratella, meno il fegato, nnèrivatùri, spùntatùri ed altri scarti di lavorazione, da consumare, cotto, in sughi e minestre.
Da ultimo venivano lavorate le parti grasse e le cotenne, cotte per estrarne strutto puro. Di quest’ultima lavorazione restavano frìttuli e cìgulàgghj, buonissimi e gustosissimi da consumare caldi. E se i medici e qualche salutista non condividevano, nùj nnìnni sùmu sèmpi frìcàti.
–Càrnivàli– La cadenza della festa del carnevale nell’equinozio di primavera (quando le ore di luce tornano uguali a quelle della notte), è anche un antico richiamo alla fertilità delle terre e della natura, tornata rigogliosa dopo l’inverno,
È la ricorrenza che precede il tempo dell’astinenza e digiuno della Quaresima, ossia i quaranta giorni precedenti la morte e la Resurrezione di Cristo.
Il culmine della festa è il banchetto del martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale, che precede il mercoledì delle Ceneri, col quale si avvia il periodo della Quaresima.
Il carnevale è contraddistinto da festeggiamenti, con riti e maschere ed è momento di divertimento che anticipa privazione e distacco dai piaceri della carne, il “carnem levare”, quale passaggio necessario per vivere, in modo autentico, sia la Quaresima, sia il sacrificio ed il ritorno alla vita di Gesù Cristo compiuti per la salvezza umana.
Carnevale è festa “mobile”, perché collegata alla cadenza della Pasqua, stabilita nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera.
Al carnevale, sin dall’antichità, si legano rituali pagani legati al divertimento, anche nelle forme più dissolute cui seguivano momenti di sospensione dei vincoli sociali.
Carnevale ha legami con le feste dionisiache greche, le “antesterie”, nei cui cortei veniva rievocato il cosmo e la nave a ruote, il “carrus navalis” (poi corrotto in carnevale?), a bordo della quale, gli dei Sole e Luna, percorrevano la grande via verso la terra.
Probabilmente da questa antica tradizione nasce l’idea dei carri allegorici che durante il carnevale attraversano le città in festa.
Il carnevale ha inoltre legami coi saturnali e con la festa in onore della dea egizia Iside, il cui culto era seguito anche in epoca romana che la animava con gruppi mascherati (lo riferisce Lucio Apuleio nelle Metamorfosi -libro XI).
Nel nostro paese il carnevale era caratterizzato da feste, balli, mangiate, bevute ed altri stravizi. Era un periodo di allegria nel quale l’ironia ed il sarcasmo paesano trovava corpo nelle recite “à pàrti”, spettacoli itineranti i cui “attori”, tutti sandonatesi di età variabile, con soste nelle piazze e negli slarghi dell’abitato, recitando in prosa e/o poesia, ironizzavano in maniera mordace su personaggi, situazioni o fatti accaduti nell’anno appena passato, canzonandone i protagonisti, spesso bonariamente irrisi senza mai giungere a forme di scherno (la prossima pàrti poteva vedere protagonista chiunque), che potevano risultare insultanti od offensive.
Il carnevale si concludeva con la “còrajsima” una colletta alimentare, eseguita dagli attori-protagonisti delle recite in tutti i rioni del paese.
Ognuno donava quel che poteva (generalmente salumi, pane, vino, qualche dolce) a ricompensa della bravura degli attori, tutti rigorosamente mascherati, talvolta irriconoscibili se protagonisti in rappresentazioni “delicate”, ciò in memoria dei tempi antichi, quando, per una presa per i fondelli, si rischiava la coltellata.
Nella stessa giornata di còrajsìma, di sera e nel piazzale davanti à chjèsia dà Mòtta, si bruciava il fantoccio di paglia che, per tutto il periodo delle feste, aveva dato corpo alla maschera del carnevale.
-Còrajìsima- Quaresima, dal latino” quadragesima dies”, quarantesimo giorno che, nella liturgia cattolica, è il periodo di penitenza e astinenza (dalle Ceneri al Sabato Santo).
Quaranta, è la misura di tempo spesa alla presenza di Dio. Il popolo ebraico, prima di raggiungere la terra promessa, trascorse quarant’anni nel deserto; Gesù, trascorse quaranta giorni nel deserto, prima di iniziare la sua predicazione; quarant’anni è il tempo di una generazione; il diluvio universale è durato quaranta giorni e quaranta notti; la flagellazione, secondo la legge mosaica, prevedeva quaranta colpi.
Quaranta è la durata del periodo di prova e isolamento; per alcune malattie si veniva messi in quarantena; nella liturgia cattolica, quaranta ore sono il periodo che intercorre tra la morte di Gesù (il venerdì alle quindici) e la sua risurrezione (la domenica mattina).
La storia della Quaresima è antica e la sua evoluzione è stata graduale. Fino al II secolo, la celebrazione della Santa Pasqua era anticipata da un digiuno della durata di due giorni (era riservato alla comunità e soprattutto ai catecumeni). Nel III secolo inizia ad abbozzarsi quella che poi diverrà la Settimana Santa, ovvero la settimana della Passione di Cristo.
Il digiuno era praticato il mercoledì e il venerdì, giorni in cui non si celebrava neppure l’Eucarestia. Nelle settimane di preparazione veniva letto e commentato il Vangelo di Giovanni, ma dobbiamo arrivare al IV secolo perché s’inizi a parlare di Quadragesima, periodo in cui si osservava l’astinenza per 40 giorni, iniziava con l’imposizione delle ceneri e seguitava vestendo tela ruvida in segno di penitenza.
Sebbene vi sia qualche piccola differenza nelle usanze, la Quaresima è celebrata da cattolici ed ortodossi. In origine la Pasqua era preceduta da un giorno o due di digiuno (il giovedì e venerdì precedenti la domenica di Pasqua)
Poco prima del VI secolo, il mercoledì diviene giorno dedicato alla somministrazione delle ceneri (rito poi esteso a tutta la cristianità) e le settimane di Quaresima divengono sei, dando al periodo un carattere ascetico e non solo penitenziale.
Dalla prassi penitenziale sviluppatasi dal V secolo, deriva l’attuale lunghezza del periodo quaresimale. L’uso di iscrivere i peccatori alla penitenza pubblica, quaranta giorni prima di Pasqua, determinò infatti la formazione di una quadragesima (quaresima) che cadeva nella VI domenica prima di Pasqua.
Nacque così il Mercoledì delle Ceneri, cosi detto proprio perché, in quel giorno, venivano imposte le ceneri ai penitenti.
Nell’occidente cristiano la Quaresima è tradizionalmente preceduta dalla celebrazione del Carnevale che, sin dal tempo antico, indicava il banchetto che si teneva a ridosso del periodo di astinenza e digiuno.
Il periodo di festeggiamenti del Carnevale non è disciplinato dalla liturgia ufficiale, ma s’inserisce nel calendario festivo cristiano, occupando lo spazio immediatamente precedente la Quaresima, partendo da una data variabile secondo le tradizioni locali (Natale, Epifania, festa di S. Antonio Candelora).
Suo termine ultimo è, nel rito romano, il Martedì grasso.
Come detto, tanto il Carnevale, quanto la Quaresima (come d’altronde tutti gli altri periodi particolari) e le festività cristiane dell’anno, trovano interessanti riscontri in tradizioni pre-cristiane europee, le cui radici ancora oggi persistono, in quanto collegate a determinati da momenti e fasi dell’anno solare, la cui valenza sacra, spirituale e simbolica, è sempre stata riconosciuta dai popoli indoeuropei, a prescindere dalle epoche e dalle civiltà che si sono succedute nel tempo.
Nel nostro paese la quaresima veniva generalmente rispettata col digiuno ed era il periodo in cui i salutisti ne approfittavano ppì pià à pùriga, pratica seguita da alimentazione leggera. Oltre questo non rammento usi o tradizioni particolari di carattere religioso.
-Pàsca- È festività legata all’equinozio di primavera (cade nella prima domenica dopo il plenilunio) ed è la giornata nella quale i cristiani festeggiano la resurrezione di Gesù.
È ricorrenza legata al concetto di resurrezione, conosciuta dai popoli pagani romani e non solo. È una festa primaverile dedicata agli alberi che germogliano, ai prati dove sbocciano i primi fiori e quindi festa alla natura che risorge dopo il freddo inverno.
Nell’antica Grecia la ricorrenza veniva festeggiata col nome di Estia, tradizione diffusasi in area romana ad onorare la dea Vesta. Le celebrazioni generalmente erano svolte con processioni e rituali di fertilità e sacralizzazione della vita. Fra gli elementi rappresentativi figurava l’uovo, simbolo sacro di fertilità che, presso vari popoli, veniva dipinto in modi vari e poi consumato. Ad esempio i caldei, oltre che le uova dipinte, consumavano focacce calde con inciso il segno della croce.
A queste antiche usanze si ricollegano le uova sode ed i pani di forme varie, che molti sandonatesi facevano oggetto di benedizione durante la messa di Pasqua.
La Pasqua (pesach per gli ebrei) è ricordo e celebrazione della liberazione e riunisce due riti, quello dell’immolazione dell’agnello e quello del pane azzimo.
Pesach significa “passare oltre, tralasciare” e deriva dal racconto sulla decima piaga, quando il Signore comandò agli ebrei di segnare con sangue d’agnello le porte delle case di Israele, per consentirgli di andare oltre e colpire solo le case dove si trovavano i primogeniti maschi degli egiziani, figlio del faraone compreso.
Con il cristianesimo la Pasqua ha acquisito nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo ed il passaggio a vita nuova per i cristiani, in quanto liberi dal peccato (dopo il sacrificio sulla croce) e destinati a risorgere.
La Pasqua cristiana è detta Pasqua di resurrezione, mentre quella ebraica è Pasqua di liberazione (dalla schiavitù)
La chiesa, nella Pasqua cristiana ha ripreso i significati di quella ebraica. Gesù è morto in croce nel venerdì precedente la festa ebraica (che in quell’anno cadeva di sabato) ed è risorto il giorno successivo, poi nominato domenica e questo evento era la concretizzazione della profezia sul Messia.
La festa della Pasqua cristiana cade la domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera, fissato dalla chiesa al 21 marzo, mentre astronomicamente oscilla tra il 19 ed il 21.
Poiché 14 giorni dopo la luna nuova si ha la luna piena, nel Concilio di Nicea del IV secolo, venne stabilito che la Pasqua cristiana dovesse essere celebrata la domenica dopo la prima luna piena di primavera. Nel 525 venne stabilito che la pasqua doveva cadere fra il 22 marzo ed il 25 aprile.
Nella tradizione cristiana, la Pasqua è preceduta da un periodo di digiuno ed astinenza della durata di 40 giorni circa che si conclude il sabato precedente la Domenica delle palme, giorno dedicato al ricordo dell’arrivo del Messia in Gerusalemme.
Il periodo della “pasqua”, ha inizio con la settimana santa ed i suoi momenti liturgici ben precisi.
Da lunedì a mercoledì corre il tempo della riconciliazione; il giovedì mattina si celebra la Messa del crisma nel corso della quale vengono benedetti l’olio profumato (utilizzato nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine), l’Olio dei catecumeni e l’Olio degli infermi.
Giovedì santo viene celebrata la messa in coena domini in ricordo dell’ultima cena di Gesù, alla quale segue la processione al “sepolcro” dove, per l’adorazione da parte dei fedeli, vengono portate, in un tabernacolo, le ostie che saranno poi utilizzate nella celebrazione del venerdì santo.
Il Venerdì santo è il giorno della passione di Gesù e per noi sandonatesi iniziava al mattino presto con i simulacri, della Madonna (vestita a lutto) e del Gesù morto che venivano portate in processione per tutto il paese.
Era tradizione antica dei sandonatesi preparare alcuni vasetti riempiti di “vammaci affùsa” nella quale venivano posti semi di cereali da far germogliare al buio. Occorreva calcolare esattamente i tempi perché la vegetazione fosse incolore ed alta almeno una decina di centimetri, e pronta per il giorno in cui aveva inizio in rito delle quarant’ore, quando il vasetto, adeguatamente ornato con un nastrino, veniva deposto presso l’altare (ù sùbbùrscu) dove il rito di adorazione veniva celebrato. Per quel che ricordo “ù sùbbùrcu” veniva allestito presso la cappella ducale, ubicata sulla destra rispetto l’ingresso della chiesa, ornata dall’altare ligneo del XVI secolo, attualmente con funzioni di altar maggiore.
Il sabato santo era giorno di riflessione e di silenzio (ì campàni ligàti). La notte tra sabato e domenica si svolgeva la veglia pasquale, durante la quale si leggevano le promesse di Dio al suo popolo. La notte era scandita da quattro rituali; la liturgia della luce (benedizione del fuoco, preparazione del cero, processione, annunzio pasquale); la liturgia della Parola (nove letture); la liturgia Battesimale (canto delle Litanie dei Santi, Preghiera di benedizione dell’acqua battesimale, celebrazione di eventuali Battesimi); infine la liturgia Eucaristica
Le origini della Pasqua ebraica, probabilmente risalgono alla festa pastorale indetta da talune popolazioni nomadi medio-orientali, praticata per ringraziare Dio e legata anche alla festa del pane non lievitato.
Per la Pasqua era tradizione sandonatese preparare cùddhurièddi, tàràddhj, tortàni (usva farli benedire), da consumare per l’occasione e da distribuire ad amici, parenti e gente bisognosa. La mattina di Pasqua, dopo la messa, noi bambini (e non solo) attendevano golosi à frittàta ccù sàvuzizzièddhu.
Minucciu