Luigi Bisignani
San Donato di Ninea-Ho ricevuto qualche giorno fa, dal nostro paesano ed amico Giacomo TRINCHI e ve ne faccio parte.
IL MATRIMONIO SANDONATESE tanto tempo fa…
Continuando sull’onda dei ricordi, ho scelto come argomento il matrimonio e del cerimoniale previsto dalla tradizione Sandonatese. Spero mi riesca bene perché basato sui miei ricordi di ragazzo appena in età scolare, sui racconti sentiti in famiglia e, oggi che sono un po’ cresciuto, sulle ricerche fatte. Troppi erano gli intoppi, troppe le persone che entravano in ballo, troppe le condizioni e gli adempimenti cui sottostare. Non so se riesciro’ a mettere insieme tutto questo secondo un ordine logico, ci proverò, e voi mi perdonerete per qualche errore od omissione.
Intanto comincio col dire che a San Donato non si celebravano matrimoni nel mese di Maggio perché, secondo la credenza popolare, era il mese degli amori de CIUCCI (asini) Non si celebravano a novembre perché era il mese dedicato ai morti. Inoltre era seguito quanto recitava il proverbio: “Di Venniri e di Marti non si spusa ne si parti ne si ‘ncigna opera d’arte”. Il venerdì era dedicato a Venere dea della bellezza, lussuriosa,ingannatrice e oziosa. Inoltre in questo giorno vennero creati gli spiriti maligni. Il martedì era il giorno dedicato a Marte, Dio della guerra e non era di buon auspicio per il matrimonio perché si era sempre sul piede di guerra e sempre in lite
La premessa per un matrimonio era L’INNAMORAMENTO, trovare quella ragazza capace di suscitare forti emozioni tali da farti saltare il cuore in gola.
Ai miei tempi avvicinare una ragazza non era facile come adesso, correvi il rischio di entrare in lite con qualche congiunto. Ci si doveva accontentare di guardarla nella speranza di incrociare lo sguardo e capire le intenzioni dell’una e dell’altro.
La passerella ideale per ammirare la sfilata delle ragazze era il sagrato della chiesa della SS. Trinità. Tutte le domeniche, noi giovani, vestiti a festa e con i capelli lucidi di brillantina Linetti, allineati eravamo pronti ad ammirare la sfilata delle ragazze che entravano in Chiesa e quando ne uscivano alla fine della messa Domenicale. Si passava davanti casa nella speranza di vederla affacciata al balcone e scambiarsi un timido saluto. Si approfittava della passeggiata con le amiche per potersi avvicinare e scambiare un saluto e parlare per pochi minuti, giusto il tempo per farle capire i tuoi sentimenti e che aspettavi la sua risposta. Quando arrivava il suo assenso ci si fidanzava ARA MMUCCIUNI(dinascosto ). Bisognava ricorre a tanti sotterfugi per potersi vedere, parlarsi e magari darsi un bacio. Si. Poteva approfittare della complicità delle amiche o di qualche parente che era nella stessa situazione. Si stava sempre con la paura addosso di essere scoperti
Quando si era sicuri di volersi bene e capaci di metter su famiglia, ci si rivelava ai rispettivi genitori. A questo punto, Il ragazzo doveva chiedere la mano della ragazza, ma non andava lui personalmente, mandava una persona di fiducia, il così detto “MMASCIATURU”(ambasciatore). Questi andava a casa della ragazza A PURTA’ A MMASCIATA (portare l’ambasciata).
Per l’occasione, sia per la richiesta che per la risposta, si usava un frasario prestabilito e, oserei dire universale, usato da tutti.
“U MMASCIATURU” così esordiva : SUGNU VINUTU PPI CUNTU DI…………………PPI BI DIRI CA SI PO RICIVI U NURI SI VULERA SPUSA A FIJJIA VOSTA. (Sono venuto per conto di…….per dirvi che, se può ricevere l’onore, vorrebbe sposare vostra figlia). Il padre della ragazza rispondeva : FIGURATIBI, RINGRAZIATI U QUATRARU CA FAMIJJIA, U NURI È TUTTU U NUOSTU E SI I QUATRARI SI VONU BENI NUI SUMU CUNTENTI. U QUATRARU, QUANNU VO, PO BINI’ ARA CASA. (Figuratevi, ringraziate il ragazzo e la famiglia, l’onore è tutto nostro, e se i ragazzi si vogliono bene noi siamo contenti.Il ragazzo, quando vuole, può venire a casa). Se la risposta era negativa, il padre della ragazza rispondeva: RINGRAZIATIMI A……………….MA NUI NON AVIMU ‘NTINZIUNI PPU MUMENTU DA MARITA’. (Ringraziatemi ……………ma noi non abbiamo intenzione, per il momento, di maritarla). Ciò creava tensioni tra genitori e famiglia e inimicizia con la famiglia del ragazzo.
U MMASCIATURU tornava dal ragazzo a riferire che A MMASCIATA ERA DI SI o di NO. Se la risposta era positiva, da quel momento il ragazzo poteva andare liberamente a casa e parlare con lei ma non venivano lasciati mai soli, potevano fare una passeggiata solo di giorno e senza mai allontanarsi troppo da casa.
IL FIDANZAMENTO = Per rendere pubblico il fidanzamento, c’era lo scambio della “FASCETTA “ , un piccolo anello di oro bianco da portare all’anulare sinistro. Perché, mi domandai fra me, all’anulare sinistro e non a un dito qualsiasi? Trovai la risposta nella ricerca che cito brevemente. Nell’anulare sinistro era stata individuata una vena che porta direttamente al cuore. Cuore simbolo dell’amore. Con lo scambio della FASCETTA si portava a conoscenza di tutti che i due ragazzi si erano fidanzati ufficialmente.
Adesso i due fidanzati potevano avere qualche libertà in più. Le famiglie si riunivano a cena per conoscersi meglio e per mettere a punto il matrimonio.
Durante queste cene si parlava di CORREDO, DOTE, LA SCELTA DEL CUMPARI E CUMMARI D’ANELLO, DEL RICEVIMENTO, DELLA PREPARAZIONE DEI DOLCI, DEI LIQUORI, DEL MOBILIO, DELL’ABITO DA SPOSA, DEL SECONDO ABITO E QUNT’ALTRO.
U CUMPARI E A CUMMARE D’ANELLO venivano scelti nella cerchia dei parenti o degli amici intimi. Si cercava di scegliere una coppia già collaudata e felice, capace di dare aiuto agli sposi. Toccava a loro battezzare il primo figlio della coppia. Con questo si entrava in un rapporto di quasi parentela, si diventava SANGIUVANNI. Secondo la tradizione diventare SANGIUVANNI, era considerato un legame così forte tale da essere rispettato comunque.
Si raccontava, e tutt’ora si racconta, due SANGIUVANNI ebbero degli screzi tali da inimicarsi, però quando uno di loro si trovava a passare vicino casa dell’altro, si toglieva il cappello o accennava un inchino in segno di rispetto, non per gli uomini, ma per il SANGIUVANNI.
IL CORREDO : Era molto importante per una ragazza Sandonatese.
Già dalla nascita si incominciava ad acquistare capi di corredo. Anche i regali di parenti e amici erano fatti a tale scopo. A tale proposito mi viene di citare un proverbio che, se non sbaglio, recitava : FIMMINA ‘NTA FASCIA CURREDU ‘NTA CASCIA Tradotto significa che quando nasceva una femmina bisognava avere già il il baule con il corredo dentro.
Le ragazze, già in età scolare, venivano inviate dalle suore ad apprendere l’arte del ricamo e del lavoro all’uncinetto. Molte le imparavano dalle mamme e dalle nonne.
Durante l’estate, specie in quei giorni afosi, era facile vedere delle ragazze, sedute sui gradini della scale di casa o nei balconi, che mentre prendevano il fresco, NEL NOSTRO DIALETTO SI DICE “FRISCHIJAVANU”, erano intende a ricamare il proprio corredo e sicuramente, parlando sottovoce, si raccontavano dei rispettivi fidanzati.
Il corredo, compatibilmente con le disponibilità delle famiglie, doveva essere ricco, bello, riccamente ricamato, abbellito con trine e merletti.
Comprendeva lenzuola, cuscini, federe, coperte, materassi (MATARAZZI), trapunta (MUTTITA). Non poteva mancare “U CUPIRTINU I SITA” (coperta di seta). Questo veniva acquistato in negozio o dai MERCIARULI , mercanti che venivano da fuori per vendere capi di corredo. Molte famiglie, specie se avevano più figlie da maritare, facevano “U SIRICU” ossia allevavano il baco da seta in casa.
La seta ricavata veniva portata, per la tessitura, alla “MASTRA I TESSI”. Erano persone esperte nell’arte della tessitura capaci di fare il disegno della coperta che poi realizzavano al telaio. Era considerata un’arte nobile, molto apprezzata e l remunerativa.
Quando il corredo era completo, prima di portarlo nella casa degli sposi, doveva essere lavato, stirato e sistemato nei bauli. Per il lavaggio si andava ‘NTA IUMARA DE SPARTI. Questa era il torrente Rose che scorreva ad Est del paese, fiancheggiato da un boschetto di ginestre. Era un posto visibile da molte zone del paese. Una volta lavato, il corredo, veniva steso ad asciugare sui rami delle ginestre. Si offriva una panoramica ai tanti curiosi per ammirare il corredo per poi spettegolare sui pro o i contro.
Inoltre faceva parte del corredo “A RAMA”. Comprendeva: paioli, pentole e tegami, ramaioli, Tutti rigorosamente in rame. Comprendeva anche la FAIENZA dal nome della città di FAENZA famosa per le sue ceramiche. Era tutta una serie di piatti, servizi da caffè, tazze, tazzine, bicchieri e quant’altro. Bisognava acquistare posaterie, qualche pezzo d’argenteria, cristallerie.
Durante una delle cene tra le due famiglie si metteva a punto la DOTE. Questa non era altro che la donazione di immobili che i rispettivi genitori donavano ai loro figli. Bisognava, quindi, andare dal notaio a fare “I CAPITULI” ossia l’atto di donazione. Quando si era vicini a quella che poteva essere la data del matrimonio, i due fidanzati, accompagnati dai genitori e da pochi intimi, andavano in comune per fare “U PRIMU RIVELI “, in italiano “prima richiesta”
Era la dichiarazione che i fidanzati facevano davanti all’Ufficiale di Stato Civile e a due testimoni, con la quale dichiaravano di voler contrarre matrimonio secondo le leggi vigenti. Questa dichiarazione rimaneva esposta all’albo pretorio del comune, non ricordo, se per otto o quindici giorni, ed era valida per sei mesi.
Si andava poi in chiesa a fissare la data delle nozze e poi a casa per un piccolo rinfresco.
All’epoca LE PARTECIPAZIONI non esistevano e allora, un mese prima del matrimonio ,le mamme dei fidanzati andavano casa per casa a invitare personalmente i rispettivi parenti e amici per partecipare al matrimonio.
Quando mancavano pochi giorni alle nozze, mani esperte preparavano i materassi(MATARAZZI) e la trapunta (MUTTITA).
Secondo la tradizione Sandonatese, i giorni preferiti per celebrare un matrimonio erano il sabato o la domenica.Più si avvicinava la data delle nozze e più la casa si riempiva di gente che si dava da fare per aiutare nei preparativi.
In un paese di montagna e lontano dalla provincia e senza mezzi di comunicazione, non si disponeva di pasticcerie e liquorerie per cui i “DURCI DA ZITA” bisognava farli in casa come pure i liquori. I dolci erano pochi ma buoni , erano LE PASTETTE, I GINETTI, CASSATELLE, TURDIDDRI E PAN DI SPAGNA.
LE PASTETTE erano dolci morbidi, fatte con un impasto di farina,uova e zucchero, venivano tagliate a forma di rombo e, per gli sposi, si modellavano due cuori uniti tra di loro. Si sistemavano nelle teglie per poterle infornare. Quando erano ancora calde, venivano cosparse di zucchero.
I GINETTI erano a pasta dura tipo biscotti, l’impasto era sempre di farina, uova e zucchero, venivano fatte a forma di ciambelle, poste in teglie e infornate. Una volta sfornate e quando erano ancora calde venivano cosparse di glassa, in dialetto NNASPRU o GILEPPO. Tralascio di parlare dei TURDIDDRI E LE CASSATELLE E PAN DI SPAGNA si fanno ancora adesso e la ricetta si è sempre tramandata. Dico solo che i TURDIDDRI non erano un vero dolce ma una frittura che richiedeva qualche bicchiere di vino in più. Ora si fanno di diverse dimensione, mentre a quei tempi, specie nei matrimoni, erano un tantino sproporzionati, almeno 30 centimetri di lunghezza se non di più ed era il re della festa. Era tradizioni che gli invitati portassero dietro un elegante e capiente salvietta dove riponevano tutto ciò che non si riusciva a mangiare e lo portavano a casa. Se la salvietta era bella pieno denotava la ricchezza del ricevimento, viceversa, se la salvietta rimaneva floscia, il ricevimento era considerato povero.
I LIQUORI si facevano in casa. Occorreva l’alcool, il solito sciroppo di acqua e zucchero e le essenze.
L’alcool veniva ricavato dalla distillazione dei residui di vino rimasti nella botte.
In paese vi erano quattro o cinque esperti nella distillazione e che possedevano l’alambicco, in dialetto “LIMMICCU “. Venivano chiamati in casa da chi ne avesse bisogno. All’alcol veniva aggiunto lo sciroppo di acqua e zucchero e le ESSENZE che si vendevano in negozio confezionate in piccole bottigliette di vetro ermeticamente chiuse con tappo a vite. Tante volte sono stato comandato per andare a comperarle al negozio di ZIU VICINZINU MAURO .
La settimana prima del matrimonio era dedicata a riassettare la casa degli sposi.
Durante questa settimana si preparava “U LIETTU DA ZITA”. Questa incombenza toccava alle due consuocere, aiutate da due giovane ragazze.
Venivano usati i capì più belli del corredo con sopra ricamate le iniziali del nome degli sposi. Era tassativamente vietato alla sposa di vedere il letto prima del tempo.
L’abito della sposa era composto dal vestito bianco e dal velo. Il Velo poteva essere corto, dalla testa scendeva a fin sopra le spalle e davanti scendeva a coprire il volto della sposa. Era fissato sulla testa con una coroncina di fiori d’arancio. Poteva essere lungo, in parte simile al corto, la differenza stava che proseguiva oltre le spalle fino a formare uno strascico che veniva retto da due damigelle L’abito doveva essere necessariamente ritirato dalla sarta da una giovane amica della sposa.
“U MAZZETTU”, ossia il bouquet, veniva confezionato in casa esclusivamente con rami di fiori d’arancio, fiori bianchi e profumati, simbolo del matrimonio, della purezza e dell’amore.
Esiste una leggenda sui fiori d’arancio che forse vi racconterò in un altro momento.
Era usanza che la sera prima delle nozze U ZITU, accompagnato da alcuni amici con organetto e chitarra, portava a SIRINATA ARA ZITA. Cantavano le canzoni della tradizione. Dopo qualche canzone a ZITA apriva la porta e invitava U ZITU e gli amici ad entrare offrendo loro qualcosa da bere e da mangiare.
Finalmente era arrivato il grande giorno delle nozze, la gente era affacciata dalle finestre, balconi, altri erano in strada per ammirare gli sposi e tutto il seguito.
Approssimandosi l’ora di andare in chiesa, dalla casa della sposa, tutti gli uomni si avviavano A PIA’ U ZITU (a prendere lo sposo) e tutti insieme tornavano dalla sposa.
Qui regnava tanta confusione ma anche tanta allegria. Un via vai di donne che si occupavano della vestizione della sposa, della sua acconciatura, chi applaudiva, strette di mano, chi gridava parole di augurio. In tutto questo movimento, una persona di famiglia cercava di mettere ordine affinché tutto si svolgesse secondo le tradizioni e in modo che questo giorno fosse un giorno da ricordare e nel nostro dialetto “NU IUORNU “ARRICURDIBILI” . Quando la sposa era pronta si formava il corteo nuziale. Prima di uscire di casa, la suocera ornava la sposa con una catenina e gli orecchini d’oro. Noi ragazzi, con i nostri schiamazzi eravamo le avanguardie che annunciavano che il corteo stava per arrivare .
Apriva il corteo la sposa, al braccio del Compare d’Anello, seguiva lo sposo al braccio della Comare d’Anello, poi la mamma della sposa al braccio del padre dello sposo e la mamma dello sposo al braccio del padre della sposa, le altre coppie e chiudevano il corteo gli uomini senza dama. Lungo il percorso c’era gente che lanciava CANNILINI misti a grano e riso, chi lanciava CUNFIETTI misti a monetine. Allora si scatenava la bagarre fra noi ragazzi per raccogliere il maggior numero di monetine.
Quando gli sposi entravano in chiesa venivano accolte dalle note dell’Ave Maria di
Schubert cantata divinamente,accompagnandosi all’organo, da Domenico Cozzarelli.
A questo punto mi permetto di fare una piccola digressione per ricordare la persona di Domenico Cozzarelli, da tutti noi conosciuto come “MICUZZU U SACRISTANU”
Io l’ho conosciuto da ragazzino, da quando seguivo il parroco Don Giovanni che mi faceva lezioni di latino. Tutte le mattine ci incontravamo in chiesa. Ho avuto modo di apprezzare le sue qualità di uomo probo, educato, gentile, disponibile e sempre prodigo di buoni consigli. Era amico e coetaneo di mio padre. Quante volte passeggiavamo sul sagrato della chiesa, con la sua mano sulla mia spalla,mi raccontava della sua passione per la musica e per il canto, di come aveva imparato a suonare ad orecchio la chitarra e la fisarmonica e, in seguito, sotto la guida di Don Guagnano, aveva imparato a suonare l’organo La sua voce era melodiosa e ben impostata. Io l’ho seguito fino a quando ho dovuto lasciare San Donato per motivi di studio ma il mio rispetto per lui non è mai venuto meno. Potrei raccontarvi ancora delle tante cose che ho appreso da lui, ma non posso più dilungare dico solo che, continuando a chiamarlo con il suo simpatico soprannome che lo ha accompagnato per tutta la vita, mi sembra l’omaggio giusto per perpetuarne la memoria e ZIU MICUZZU U SACRISTANU da lassù sarà felice.
Scusatemi per la digressione, ma non potevo fare a meno di ricordare un grande amico.
Continuando il rito del matrimonio, una volta arrivati all’altare, il Compare d’Anello consegnava la sposa allo sposo. Questi alzava la parte di velo che nascondeva il viso della sposa e insieme si inginocchiavano su due inginocchiatoi appositamente preparati e adornati.
Intanto cominciava la messa, durante la messa gli sposi ricevevano la comunione e il sacerdote inseriva, come da tradizione, i riti propri del matrimonio.
Per i genitori c’era un momento di commozione nel sentire i loro figli pronunciare il sospirato “SI”nei loro occhi spuntava una lacrima di commozione e, nello stesso tempo, un po’ di preoccupazione quando il sacerdote, prima di benedire l’unione degli sposi, pronunciava la formula di rito: SE QUALCUNO HA QUALCOSA DA DIRE CHE PARLI ADESSO O TACCIA PER SEMPRE. Quindi benediva l’Unione degli sposi e li invitava, insieme ai testimoni, che allora erano CUMPARI e CUMMARI D’ANELLO a firmare il registro dei matrimoni.
Espletate tutte le formalità di rito, la coppia degli sposi usciva dalla Chiesa fra gli applausi degli invitati e da altre persone, non invitate, che erano in Chiesa per seguire la messa e il rito nuziale.
Era credenza che portasse sfortuna se il corteo, al ritorno dalla Chiesa, facesse lo stesso percorso dell’andata. Lungo questo nuovo percorso c’era altra gente che applaudiva e, per la felicità di noi ragazzi, altra gente con i vassoi pronti al lancio di grano, riso, confetti e monetine che scatenavano la bagarre per raccogliere più monetine possibili.
Finalmente fra gli applausi della gente e gli schiamazzi di noi ragazzi si arriva a casa della sposa per il rinfresco. Qui’ c’era grande allegria,abbracci,baci ed auguri…agli sposi, battimani al grido di “W gli sposi” . Alcuni degli invitati si improvvisavano camerieri e distribuivano i dolci e liquori. Noi ragazzi vocianti aspettavamo davanti l’ingresso che qualcuno si ricordasse di noi portandoci qualche dolcetto
Alla fine del rinfresco, gli sposi, concedavano gli invitati dando loro cinque confetti bianchi che la sposa, con un cucchiaio prendeva da un contenitore retto dallo sposo. Non riuscivo a spiegarmi il significato del perché di cinque confetti e non di più o di meno? Oggi che scrivo ho voluto sciogliere questo dubbio.Ho scoperto che il bianco dei confetti rappresentava purezza e sincerità. Il numero cinque, in quando numero primo, era indivisibile e rappresentava l’indivisibilità del matrimonio felice e fertile.Era pure nella nostra cultura, che il lancio di riso e grano, rappresentava fertilità e abbondanza.
Se era previsto il pranzo nuziale, un incaricato della famiglia, prendeva nota delle persone che sarebbero ritornate per il pranzo.
Per il pranzo nuziale non si badava a spese,il menù prevedeva un primo piatto di pasta chiamata appunto “MACCARUNI I ZITA” conditi con ragù di caprettone e abbondanza di formaggio pecorino. A tale proposito mi viene in mente un racconto dove un signore raccomandava al cuoco : “MI RACCOMANDO IL CONDIMENTO, SUGO COME PIOVESSE E FORMAGGIO COME NEVICASSE”.
Seguivano i secondi di carne cucinata in vari modi, salumi,salami, formaggi, turdiddri, frutta di stagione frutta secca e buon vino a volontà. Intanto la sposa aveva indossato il secondo abito. La serata si concludeva con canti e balli fino a tarda ora. A fine serata i genitori e pochi intimi accampagnavano gli sposi in quella che sarebbe stata la loro casa.
Per chi non faceva il viaggio di nozze, che all’epoca erano quasi nulli, il giorno dopo le nozze, incominciava a “A SIMANA DA ZITA”.
Durante questa settimana, gli sposi, rimanevano in casa per ricevere le visite di parenti e amici che facevano loro visita e portavano il regalo. La sposa, da perfetta padrona di casa “ADDUBBAVA NA GUANTIERA DI DOLCI DA DARE AL VISITATORE”. Intanto prendevano confidenza con la nuova casa e partecipavano a pranzo o cene, invitati da parenti ed amici.
Terminata A SIMANA DA ZITA, tutto tornava alla normalità. Il marito ritornava al lavoro e la moglie si occupava delle faccende di casa.
Credo che la gioventù di oggi non abbia mai sentito parlare da A MISSA I L’ALIVA. Era la messa che veniva celebrata all’alba per quelli che andavano al lavoro molto presto.
Durante questa messa si celebravano anche matrimoni ma senza festeggiamenti e vestito bianco. In chiesa andavano gli sposi con i testimoni, i genitori e qualche intimo. Il sacerdote celebrava il matrimonio ma non all’altare maggiore.
Questo rito era per le vedove che si risposavano, per le ragazze rimaste incinte prima del matrimonio e in altre situazioni di peccato .
Nessuno dei giovani ha sentito mai parlare di STATO CIVILE?
Nemmeno io da ragazzo sapevo di questo rito. L’ho saputo solo quando l’ho studiato. Era il matrimonio che si celebrava quando lo Stato e la Chiesa erano in contrapposizione. Si celebrava in municipio ed era matrimonio valido e riconosciuto a tutti gli effetti. Per la tradizione Sandonatese il vero matrimonio valido era quello benedetto in Chiesa con la sposa vestita di bianco, corteo e festeggiamenti.
Secondo la nostra tradizione si ricorreva al rito dello Stato Civile quando il fidanzamento durava a lungo o quando si aveva il sospetto che il fidanzato si potesse allontanare. Con LO STATO CIVILE si era marito e moglie a tutti gli effetti ma continuavano a vivere separati ognuno a casa propria fino a quando non si celebravano le nozze in Chiesa.
Spero di aver ben raccontato del matrimonio secondo la tradizione Sandonatese.
Ringrazio tutti quelli che avranno la bontà di leggerlo. Abbraccio tutti i Sandonatesi e gli amici di Facebook.
Giacomo Trinchi
Agosto 2021
4 commenti
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Giàcumì, m’àsi fàttu ricògghj ì nà sìttantina d’ànni arriètu, à quàtràru chi sì fùrigàvadi à pìà à ntèrra soldi e cunfiètti, Tànti gràzzij
Che piacere leggerti e che piacere ricordare e apprendere avvenimenti del tempo che fu …… il tempo in cui eravamo una comunità.
Grazie Giacomo
Continua a farci partecipi dei tuoi ricordi
Non fai che arricchire tutti coloro che ti leggono e far venir su tanti sospiri
Con affetto
Fiorino Cerchiaro
Un racconto bellissimo, pieno di cuore!!!! Una volta sola ho partecipato ad un matrimonio a San Donato, negli 70 ed fu proprio come Luigi l’ha raccontato!!!
Al caro amico Giacomo un affettuosissimo abbraccio ed un caro ricordo dei nostri cari (La Menza e Trinchi ,Palermo e Viggiani ).Ti ho letto oggi con grande piacere , avendo con ciò conferma della tua buona salute ,compatibilmente con l’età ed i problemi .A presto ,Enzo Palermo