Luigi Bisignani
San Donato di Ninea 16-04-2020
Raccontati…Raccontiamoci…Facciamo rivivere il nostro paese con le nostre storie ,i nostri racconti.
Bastano due riga per farti ritornare indietro di tanti anni,tanti anni fa quando si viveva di poco ed eravamo felici,questo piccolo racconto del nostro amico e paesano Elio ci fa rivivere tante piccole cose ,che ci ricordano un bel pezzo della nostra vita paesana.
Binnirannu,Costi,jumara,zimma,fora,ciucciu,mmastu,panaru,fichi,fraschi i fichi,zia cuarbina,stiavuccu,Jardinu,gaddrina,maiali etc…tutti questi vocaboli che sono la nostra storia e poi questa via che va do jardinu ara jumara e che se si continua passando vicino i ZIMMI si arrivava a Santu Pietru per arrivare ara Pantanu…Storia,storia e felicemente raccontata da Elio che lo RINGRAZIO VIVAMENTE.
V’INVITO TUTTI a fare la stessa cosa,abbiamo tutti vissuti in una « VANEDDRA » tutti abbiamo qualcosa nel cuore che possiamo raccontare e ricordare ai nostri GIOVANI ,il GIORNALE ed io stesso siamo la,disposinibile a trascrivere i vostri racconti ,LA NOSTRA STORIA,letta da tanti paesani sparsi nel MONDO E RESIDENTI.
Oggi andiamo a casa: Ricordi di vita (Elio Artuso do Jardinu)
La stradina che scendeva a destra, portava a “Binnirannu” e alle “coste”, e poi giù verso la “jumara” e il castagneto; era percorsa dalle donne che andavano a lavare i panni, da chi aveva un orto o una “zimma” lungo il tragitto e da tutti quelli che, alle prime luci dell’alba, si incamminavano in groppa ad un asino verso “u fora”, gli appezzamenti di terra coltivati a orto o a grano con qualche olivo e alberi da frutta fuori dal paese, nelle campagne circostanti. La processione mattutina si ripeteva all’imbrunire, quando gli stessi tornavano alle case, questa volta però a piedi dietro l’asino, perché l’animale era carico dei prodotti della terra raccolti o, in mancanza, di legna per l’inverno. D’estate non mancava mai “u panaru” pieno di fichi coperto con le foglie della stessa pianta, appeso con cura con una fune a un lato della sella, “u mmastu”. A questa processione, i cui tempi erano scanditi dallo scalpitio degli zoccoli dei vari ciucci e muli sul cemento, partecipavano tutti i giorni le orecchie di Caterina e del nipote di due anni dal loro letto, mentre la nonna, zia Cuarbina, era già da tempo sveglia perché doveva preparare la colazione e “u stiavuccu” per il marito Vincenzo, anche lui nel gruppo dei partenti. I quattro abitavano nella casa alla fine della discesa e dalla finestra della cucina avevano sott’occhio tutto “u Iardinu”. Tutt’intorno “aru Iardinu” si snocciolavano una serie di vicoli e porticati pieni di porte che schiudevano a stanze nelle quali, ammucchiati, spesso si trovavano sei o sette letti, un focolare, un tavolo, una quantità indefinita di persone, quasi sempre di numero superiore agli stessi letti e persino qualche maiale o gallina.
2 commenti
Complimenti Elio conciso e preciso nel fotografare quello squarcio così densamente e appassionatamente vissuto come tutti i vicoli ” vanedde ” del nostro paese che fu.
Ho rivisto nel tuo scritto i tuoi nonni e tutte le persone, TANTE , che li intorno gravitano.
Grazie e in saluto
FIORINO Cerchiaro
Grazie doc. In questi giorni di isolamento e forzata lontananza dai luoghi e dalle persone del cuore, i ricordi prendono vita e danno forza… almeno a me capita così. Un abbraccio e a presto rivederci