19 Marzo :U mmitu i San Giuseppe in Calabria

Luigi Bisignani

LA FESTA DI SAN GIUSEPPE IN CALABRIA

Fra le tante usanze in Calabria  ne troviamo uno che arriva questo 19 marzo :

“U MMITU I SAN GIUSEPPE”

Ne ho tantissimi ricordi ma ho voluto fare una piccola ricerca in Calabria

 

La festa di San Giuseppe che si celebra il 19 Marzo ha origini molto antiche, che risalgono alla tradizione pagana.
Secondo la tradizione, San Giuseppe, oltre ad essere il patrono dei falegnami e degli artigiani, è anche il protettore dei poveri, perché a Giuseppe e Maria fu negato un riparo per il parto. Da ciò l’usanza presente nei nostri paesi di invitare i poveri il 19 Marzo al banchetto di San Giuseppe. E’il giorno de “u mmitu“,l’invito.
La tradizione vuole che quasi in tutte le famiglie, per precedente voto o per devozione, s’imbandisce un pranzo ai poveri, i quali devono rappresentare simbolicamente i personaggi della Sacra famiglia.
A Laureana di Borrello (RC) si invitano 3 poveri: un vecchio, una donna e un bambino, che simboleggiano rispettivamente San Giuseppe, Maria e Cristo. Il pranzo viene servito da colui o colei che ha fatto il voto e, i poveri, siedono alla tavola benedetta da un sacerdote.
Anche in provincia di Cosenza, a S. Domenica,San Donato di Ninea, Orsomarso, Sangineto, Bonifati, Verbicaro si fa « u mmitu » l’invito di S. Giuseppe. I poveri si prestano e accorrono dai paesi vicini.
Subito dopo la preghiera, i padroni servono a tavola: i poveri assaggiano tutto e lasciano, per tradizione, un catollo (pezzo) di pane al padrone.

A Bivona (RC), nella parete frontale delle case, in posizione centrale, viene collocata una immagine o una statua di San Giuseppe; nelle restanti pareti laterali si appendono lenzuola e ricami bianchi.
Sulla tavola non manca mai una brocca contenente acqua e vino con cui i tre “SANTI” si lavano le mani (segno dell’ unione fra gli uomini).
I piatti più tipici della tradizione di San Giuseppe è pasta chi  ciciari (Lagane e ciciri) e le zeppole salate e dolci di san Giuseppe.
Si celebrano messe con la distribuzione del pane benedetto e si si snoda la processione che termina con i tradizionali fuochi d’artificio.

Qualche esempio di come si fa la festa di San Giuseppe « U mmitu nda Calabria vicinu aru paisa mia »

” U mmitu e San Giuseppe “ A Longobucco

In dialetto longobucchese  “U mmitu” significa “L’invito”.  U ‘Mmitu e San Giuseppe!

La tradizione storica, attribuisce le sue origini all’iniziativa dei Signori medievali nell’offrire ai propri sudditi, una volta all’anno durante la Festa di San Giuseppe, un pasto caldo, nutriente, povero ma gustoso…pasta e ceci appunto. tradizione popolare dei nostri avi che alla vigilia della festa di San Giuseppe, avevano l’usanza di distribuire ai vicini di casa i piatti tipici di questa festività“U mmitu”. Un gusto dal sapore retrò, povero ma gustosissimo.“U mmitu” ha dunque origini antichissime e continua a tramandarsi ancora oggi di generazione in generazione. In dialetto longobucchese  “U mmitu” significa “L’invito”, infatti  si soleva e si suole ancora oggi preparare la pietanza in grandi “cuarare”, pentoloni, disposte nelle varie “Rughe”, rioni, del borgo e nelle campagne, e veniva distribuito a chiunque ne desiderasse un pò, il quale portava dietro con sé il pentolino dalla propria casa. Le nostre  donne che lo cucinavano come ancora oggi si fa   per devozione a San Giuseppe. Oggi le “cuarare” non sono più quelle di una volta, sono diventate più piccole, però la tradizione di donarlo è rimasta, indipendentemente dalla condizione sociale di ricco o di povero, c’è chi lo dona ai “rugari”, i vicini, o chi semplicemente lo distribuisce ai membri della propria famiglia. “Zia Maria” come tante altre donne di Longobucco di buona lena si trova alle prese con la favolosa e devotissima preparazione de “ u mmitu” in onore di San Giuseppe, con la preghiera rivolta al Santo affinchè riguardasse la  salute di tutte le persone.  La preparazione che richiede molta passione e semplicità di esecuzione include   di  tirare una sfoglia sottile con un matterello. A questo punto, lasciare asciugare la sfoglia per qualche minuto: una volta asciutta, arrotolando  la sfoglia su se stessa e  tagliarla a fettine. Precedentemente pronto un sugo ad hoc fatto di fagioli, ceci, e tutti gli aromi necessari, baccalà compreso, per rendere prelibato il piatto.

A Paceco e nella frazione di Dattilo si tiene U’mmitu di San Giuseppe, un pranzo con oltre cento portate, offerto a tre persone, rappresentanti la Sacra Famiglia, davanti un altare. Nei giorni che precedono il 19 marzo si realizzano i pani simbolici e l’altare ricoperto di bianche lenzuola, sul quale si pongono tre grossi pani a forma di cucciddatu (ciambella), palma e vastuni (bastone), alludenti rispettivamente a Gesù, Maria e Giuseppe.

E’ ancora oggi viva, a Longobucco, la tradizione e “U mmitu e San Giuseppe, usanza che si svolge durante i sette mercoledì che precedono la festa di San Giuseppe, a cura di famiglie devote. Consiste nella preparazione di gustose tagliatelle fatte a casa, a mano, condite con sugo di baccalà,  ceci e fagioli, tradizione popolare che risale a qualche secolo fa. L’usanza era quella di distribuire ai vicini di casa i piatti tipici di questa festività, appunto  “U mmitu”, tradizione che ha origini antichissime e continua a tramandarsi ancora oggi. In dialetto longobucchese  “U mmitu” significa “Invito”, La preparazione avviene tramite la cottura del cibo in grandi “cuarare”, pentoloni, disposte nelle varie “Rughe”, rioni, del borgo e nelle campagne, e viene distribuito all’interno del vicinato o a famiglie in lutto e bisognose , ma anche a chiunque ne desideri un pò, basta portare con sé il pentolino dalla propria abitazione. Le donne del quartiere collaborano con la famiglia devota usando oggi più moderne vettovaglie, la tradizione di offrirlo è comunque rimasta identica, “U mmitu” non avrebbe senso, infatti, se non fosse condiviso con altre famiglie e il donarlo è rimasto, indipendentemente dalla condizione sociale delle persone, c’è chi lo dona ai “rugari”, i vicini, o chi semplicemente lo distribuisce ai membri della propria famiglia. Quest’anno la tradizione è stata realizzata in modo particolare dalla “Zia Maria” (nella foto) aiutata dai membri del gruppo Caritas di Longobucco. La preparazione richiede molta passione e semplicità di esecuzione, si  tira una sfoglia di pasta sottile con un matterello. Si lascia asciugare la sfoglia per qualche minuto: una volta asciutta, si arrotola su se stessa e  si taglia a fettine, realizzando i tradizionali “tagghiarini”, conditi poi con il sugo già pronto. Agli uomini del vicinato tocca il compito “gravosissimo” di assaggiare e consumare il prelibato piatto in compagnia e ru “sciannichiaddu”, ottimo vino proveniente dalle colline longobucchesi o dalle vigne di  Cirò, lavorato in casa .

San Giuseppe. “U mmitu” piatto povero ricco di tradizone: A  CROTONE

U MMITU I SAN GIUSEPPE

Oggi è la festa di San Giuseppe e in tutti i paesi e le città italiane si festeggia con un piatto o dolce tipico. A Cotronei, paesino posto ai piedi della Sila Piccola crotonese si prepara “U mmitu”, un piatto a base di acqua, grano, finocchietto selvatico, sedano,olio e sale. Un gusto dal sapore retrò, povero ma gustosissimo.

“U mmitu” ha origini antichissime e continua a tramandarsi ancora oggi di generazione in generazione. In dialetto cotronellaro “U mmitu” significa “L’invito”, infatti nell’antichità si soleva preparare la pietanza in grandi “quadare”, pentoloni, disposte nelle varie “Rughe”, rioni, del paese, e veniva distribuito a chiunque ne desiderasse un pò, il quale portava dietro con sé il pentolino dalla propria casa.

Le donne che lo cucinavano di solito lo facevano per devozione a San Giuseppe. Oggi le “quadare” non sono più quelle di una volta, sono diventate più piccole, però la tradizione di donarlo è rimasta, c’è chi lo dona ai “rughisani”, i vicini, o chi semplicemente lo distribuisce ai membri della propria famiglia. Piatto tradizionale che oggi regala alle famiglie un momento di aggregazione in onore al Santo.

 A Rossano, “U mmit e san Giusepp”: tra storia e tradizione

Ci sono tradizioni che sembrano fermare il tempo. Ripercorrerle è necessario, affinchè non muoiano mai. E come si suol dire “Paese che vai Tradizione che trovi”,a Rossano nel giorno della Vigilia di San Giuseppe – che il calendario festeggia il 19 marzo – in molte famiglie rivive una ricorrenza che affonda le sue radici nella storia.”U mmit e San Giusepp“, l’Invito di San Giuseppe, è un rito tradizionale. Ed allo stesso tempo una rievocazione storica. U mmit è l’offerta di taddjarin e cicer, tagliolini e ceci, che la tradizione vuole rigorosamente fatti a mano. E poi donati per devozione al vicinato o alle persone più indigenti. La storia racconta che il primo “invito” ha origine, con molta probabilità, nelle contrade rossanesi. Dovrebbe risalire al periodo del primo conflitto mondiale. Quando tra povertà e carestia,una mamma chiese la grazia a San Giuseppe. Il ritorno del suo amato figlio dalla Prima Guerra. Del resto non dimentichiamoci che al conflitto mondiale appartengono molte ricorrenze e tradizioni antiche. In quel cordone quasi inscindibile che lega il popolo ai suoi santi e patroni.

San Giuseppe è particolarmente venerato nella nostra terra di Calabria, considerato il padre putativo di Gesù. A lui si devono prodigi e protezioni e non c’è paese, rione,  contrada che non abbia il suo simulacro.

U MMIT E SAN GIUSEPP: LA TRADIZIONE ROSSANESE

Ma è nel dono che risiede tutta l’importanza de “U mmit”. Un tempo la disparità economica e il divario sociale erano molto più evidenti, rispetto ad oggi. Nelle famiglie rossanesi e del territorio circostante, piatti e pentoloni colmi di  taddjarin e cicer fumanti e profumati, venivano offerti alle famiglie più bisognose. Quelle benestanti e possidenti poi donavano agli ospizi o agli orfanelli. C’era chi si vedeva bussare alla porta con le mani protese per ricevere “u mmit”. E c’erano donne caritatevoli e generose, come Donna Maria Labonia  che faceva del giorno della vigilia una vera festa per tutta la zona Foresta. Con la processione del Santo che percorreva l’intera contrada. E così che  “U mmit e San Giusepp” di Donna Maria Labonia appartiene alla tradizione rossanese. E poi c’erano le  “Monac e Vulanzun” sorelle suore che, vivendo totalmente di carità, nel giorno de U mmit ricevevano pentoloni pieni di  taddjarin e cicer. Le due sorelle erano note nel paese in zona Cappuccini perchè raccoglievano i bimbi trovatelli e abbandonati. Pratica molto in uso fino agli anni ’60.

TADDJARIN E CICER: ACQUA, FARINA E TRADIZIONE

 

I Taddjarin e cicer, è un piatto considerato povero per eccellenza, oggi per la semplicità degli ingredienti, è entrato prepotentemente nei piatti della tradizione e nella dieta mediterranea. Tagliolini fatti in casa con acqua e farina, gustosi ceci e un filo di olio extra vergine rigorosamente a crudo. E perchè no, una spolverata di buon pepe piccante. E per chi vuole baccalà, considerato il merluzzo dei poveri. Devozione e rispetto, tra fede e tradizione. In quel connubio insito nel DNA di ogni paese.

 

La festa di San Giuseppe ad Orsomarso, in Calabria: “‘U mmito”

A Orsomarso in Calabria, nell’Alto Tirreno Cosentino, ogni anno in occasione della festività di San Giuseppe, è possibile immergersi nella cultura antropologica del luogo, dove la religiosità si intreccia con i riti agresti, propiziatori di buoni raccolti.
Si tramanda un’antica e molto sentita tradizione popolare, “’u mmito”, che nel dialetto locale significa “invito”, ossia la preparazione di un banchetto, fatta per devozione, voto o grazia ricevuta, che viene offerto, secondo un preciso rituale, ad amici e vicini. In passato l’usanza voleva che gli invitati venissero scelti tra le persone più bisognose, a conferma della derivazione medioevale dal gesto magnanimo dei signori che una volta all’anno, proprio in occasione della festa di San Giuseppe, solevano offrire un pasto caldo e nutriente ai propri sudditi. Oggi la padrona di casa può invitare le persone a prescindere dallo stato di bisogno, privilegiando i rapporti familiari e di amicizia (“mmitu apirtu“).

Secondo il rituale, dopo la celebrazione della Santa Messa, una volta preso posto gli invitati al banchetto, i Santi, dodici come il numero degli Apostoli e con “San Giuseppe” a capotavola, hanno inizio le “litanie” per San Giuseppe e la “devota”, in ginocchio, fa il giro della tavola baciando la mano a tutti i commensali che, rimanendo in assoluto silenzio, provano un solo cucchiaio di ogni pietanza loro servita. Tutti i cibi del “mmitu”, dopo l’assaggio, vengono portati via per essere divisi in tanti contenitori e consegnati, insieme al pane, ai commensali che, a loro volta, li distribuiranno scegliendo tra parenti, vicini, malati. Un pezzo di pane verrà portato ai bambini piccoli che ritardano a parlano o soffrono di balbuzie.

La preparazione del pasto è un impegno notevole che, tra ritualità e quantità, richiede tanto lavoro e un’accurata programmazione che parte già dall’estate precedente con l’essiccazione di fichi, zucchine e peperoni, prosegue nei giorni precedenti impastando il pane e cuocendolo nel forno a legna, raccogliendo nei campi la cicoria e il finocchio selvatico e negli orti la scarola e i “spicatiddi ri cavuli”, mettendo a bagno il baccalà per dissalarlo e i legumi secchi per farli ammorbidire. Il giorno prima in tante pignate di terracotta, al calore della brace del camino, verranno cotti i legumi (fagioli, fave, ceci, cicerchie e lenticchie), ‘a savuza (le zucchine secche) e ‘a minestra. Il giorno della festa, devono essere pronte anche le ultime pietanze prima che inizi il rito: i tajiulini e il riso cu i fasuli, l’uspri, i grispeddi, il baccalà, l’insalata.

La tavola viene apparecchiata semplicemente con su una tovaglia bianca le posate e, per ogni commensale, un bicchiere di vino e una forma di pane che la devota, dopo aver baciato la mano a tutti, toglie prima di iniziare a servire le varie pietanze, cominciando dall’insalata, poi i tagliolini, il riso e, di seguito, tutte le altre, terminando con le noci e una treccia di fichi secchi. Rigorosamente solo un assaggio di ogni cibo.

 

Alla fine del pasto il pane viene rimesso sul tavolo, si recitano nuovamente le “litanie”, la devota ripete in ginocchio il giro del tavolo per baciare la mano ai Santi e, prima di congedarli, da ogni panella taglia un pezzetto di pane per la propria famiglia.

 

ANEDDOTI,STORIE E RICORDI SONO BENVENUTI PER ARRICCHIRE                                                                  QUESTA MIA PICCOLA RICERCA,GRAZIE!!

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