Luigi Bisignani
Dopo le ricerche sui SOPRANNOMI di San Donato di Ninea ecco per voi una splendida ricerca sui COGNOMI Sandonatesi,Sai cosa vuol dire o da dove proviene il tuo COGNOME? Ecco una lunga e bella ricerca per rispondere a queste due domande,che troverete su ben 32 paginette, scritte dall’amico Minucciu.
Stuòzzi ì stòria: Iddhùnni sì.
In uno degli scritti sul nostro paese, ho sostenuto che dell’antica “razza sandonatese” (il riferimento è a quei “compaesani” che potevano ancora vantare qualche radice nella discendenza ibero-osco-bruzia), non era restato più nessuno e che gli ultimi avevano abbandonato il paese negli anni immediatamente successivi l’unità nazionale.
Avevo anche detto che in quei sandonatesi, permaneva si qualche goccia di sangue ed alcuni residui dell’antico dna, ma il resto, inteso in tutto quel che distingueva l’antica “razza”, quali orgoglio, fierezza, senso della dignità, coraggio ed audacia, insomma tute le caratteristiche che distinguevano e facevano temere gli antichi popoli calabresi, nel tempo erano state “annacquate” e poi erano andate quasi completamente perdute.
La “scomparsa” delle antiche e succitate caratteristiche “dà ràzza”, è iniziata con l’annichilimento e la dispersione delle popolazioni autoctone, con quell’evento disgregante e distruttivo di un’etnia posto in essere dai romani e perpetuato dai successivi conquistatori delle terre calabresi, proseguito poi nel mescolamento di quel che restava della antica popolazione delle terre sandonatesi con altre “stirpi”, con quelle genti venute al seguito dei conquistatori di turno e stabilitesi nelle nostre contrade.
Presumo che ai primi conquistatori delle terre sandonatesi, la domanda più frequente posta dai nostri antenati deve essere stata probabilmente “iddhùnni sì”, interrogazione che, per come sono andate le cose, i nostri avi hanno poi dovuto ripetere per secoli a tutti i nuovi venuti.
Fossi un politico od un religioso, quindi portatore e propugnatore di una “fede”, potrei chiedere di credermi sulla parola. E’ però mia convinzione che quando si scrive di storia, non si può avere questa pretesa e di ciò che si sostiene bisogna provarne la fondatezza.
Vero è che non mancano esempi in cui la storia è stata stravolta ed “adattata” ad esigenze di varia natura (politica soprattutto), ma il tempo ha poi fatto giustizia.
Nel nostro caso, trattandosi di “piccola storia”, necessita percorrere la via dritta, agire con correttezza e dire il vero, senza guardare in faccia nessuno e senza condizionamenti. Per fatti di storia locale la verifica è immediata. Chi legge è direttamente interessato e coinvolto nel narrato e di conseguenza il “non vero” avrebbe i minuti contati.
A sostegno delle tesi con le quali inizia questo scritto e onorando il principio di correttezza ed imparzialità, è stata condotta una ricerca di natura etimologico-statistico e storico-familiare, con lo scopo di accertare la provenienza etnico-geografica e l’affermazione nelle terre sandonatesi di cognomi “stràini”, i primi dei quali radicati con l’avvento della presenza romana e l’espropriazione dei territori ai nativi.
Sono stati presi in esame ed elencati i cognomi sandonatesi di cui la memoria personale serba ricordo e quelli sui quali è stata trovata traccia od annotazione nella documentazione consultata.
Lo studio tende ad individuare principalmente il luogo in cui per la prima volta l’agnome od il cognome (patronimico o matronimico) è stato utilizzato e per questo segnalato da ricercatori e storici del settore.
La ricerca è stata indirizzata in tre direzioni. E’ stata valutata l’etimologia dei termini, la cadenza statistica e quindi la concentrazione geografica dei cognomi. E’ stato analizzato l’aspetto storico del cognome e la prima sua citazione, in atti pubblici, privati ed in memorie e cronache.
Risulta che il cognome, nelle terre italiche, è venuto in uso negli ultimi secoli dell’impero romano, quando l’antico sistema onomastico latino subì lente e progressive trasformazioni, fino ad essere definitivamente abbandonato perché, al posto del rituale prenome, nome e cognome, si afferma la tendenza a servirsi del solo cognome.
Durante le invasioni barbariche, nella nostra onomastica c’è l’immissione di nomi germanici che vengono ad arricchire la varietà dei nomi individuali di tradizione italica. Nell’ottavo secolo il vecchio sistema onomastico viene sostituito dal nuovo a nome unico. Il nuovo sistema, con ripetersi frequente dei nomi, causava spesso confusioni e a malintesi. Per ovviarvi si sentì la necessità di distinguere individualmente coloro che portavano nomi uguali, per cui al nome unico, man mano si sostituì il nuovo metodo di identificazione composto da nome e cognome.
Il nome aggiunto originariamente individuava una sola e definita persona ma, lentamente, si consolida come cognome di famiglia, cioè quello che poi contraddistinguerà il “casato” e che diverrà ereditario e trasmissibile, dal padre al figlio proseguendo anche per le generazioni future. Questo accade sin dal secolo IX, prima nelle città e per le famiglie nobili, successivamente per il ceto borghese, mentre nei centri minori (borgate e campagne) il nome unico individuale resistette più a lungo.
Ciò è provato da documenti notarili del XIII secolo, dove, i nomi dei testi appartenenti al ceto borghese, sono segnati con il doppio nome, mentre i villani figurano più frequentemente annotati con un nome solo (si cita a mo d’esempio un documento del 1188 ove fra i 28 villani menzionati, 15 figurano trascritti col solo nome di battesimo).
Circa l’origine, il cognome spesso risultava originare da un soprannome ma poteva anche derivare da quello paterno (es. Robertus filius Constantini); in altri casi era un genitivo latino o una latinizzazione del nome (es. De Angelis) ; alcuni sembrano accennare ad una remota origine patriarcale (es. La Greca); altri avevano riferimento al presunto luogo d’origine del casato (es. Lombardi), ed altri traevano spunto da nomi di città (es. Palermo) molti dei quali portati da persone di origine ebraica, mentre altre volte il cognome è collegato ad una etnia (es. Romani).
Spesso era il mestiere di un antenato (es. Ferraro), ma esistono tipi di cognome nei quali sono fusi un titolo ed un nome che perpetuano il ricordo circa la professione di un antenato (es. Notarnicola).
Moltissimi sono i cognomi nati da un nomignolo o soprannome (es. Caccavale) e molti hanno collegamento con l’ambiente agricolo (es. Cicero, Cipolla, Della Valle,). Molti ripropongono nomi di animali (es. Api), altri nascono da nomignoli che sembrano riferirsi a un tratto personale caratteristico o ad un episodio di cui non sono noti i particolari (es. Cunsolo, Dell’Osso).
Molti cognomi palesano subito l’origine regionale, esempio, Caruso (ragazzo in dialetto siciliano), mentre l’elemento arabo si manifesta in molti dei cognomi della Sicilia e della Calabria (es. Modafferi, che significa vittorioso), mentre la radice albanese è palese in Chidichimo.
Importante per la formazione dei cognomi meridionali, specie nella Calabria, fu il contributo greco (Papalia, prete Elia), (Praticò, attivo), (Privitera, dei o coi preti)
Da alcuni “studi” sull’etimologia dei cognomi, i cui termini in greco antico sono stati a grandi linee traslitterati, ho estrapolato cognomi che sono, o sono stati, presenti nelle terre sandonatesi e riporto le rispettive ipotesi etimologiche, talune anche apparentemente “azzardate”.
Carito -grazioso, da kharis; Capano, -alto magistrato imperiale ed in seguito solo magistrato comunale, da kat-ep-ano; Ceravolo -incantatore di serpenti, da keraulòs; Chirico -ecclesiastico, da klerikòs; Colosimo -iroso, o zoppo, da kholòs; Fera -forse delfino, o animale feroce, da ther; Fragalà -fabbricante di palizzate, da phrasso; Fragomeni-corazzato, da [pe]phragmenos; Iannuzzi -nome proprio, da Giovannino; Mauro -nero, da amauròs; Mazzeo -forse focaccia, pane, da maza; Straticò -generale, da strategòs; Vadalà, -scavatore, da bathos; Vono -altura, da bounòs. Zuccalà -giogo, da zygòn.
Nella enumerazione dei cognomi, ritengo opportuno iniziare dal certo, riportando i contenuti dell’elenco dei contribuenti sandonatesi, così come citati nel catasto onciario del 1753.
Da detta documentazione abbiamo l’idea di quali erano le “casate” che, circa due secoli e mezzo addietro erano correnti in paese.
Eccole in rigoroso ordine alfabetico-sillabico: “Abbandonato, Ariano, Artuso, Babbatino, Balsamo, Balsano, Barbiero, Bellezza, Benincasa, Bianchimano, Biondo, Bisignani, Bisignano, Bombino, Bonadies, Borrelli, Bruno, Buono, Campilongo, Campolongo, Capano, Capolupo, Capparelli, Caro, Caruso, Casella, Ceraso, Cerbelli, Civolla, Consoli, Cordasco, Cozzitorto, Cristiano, D’Aloise, Dattoli, D’Elia, De Lia, Di Leonardo, Di Giacomo, Di Luca, D’Ordine, Di Paola, Di Paula, Di Sua, Di Todaro, Durante, Fasano, Ferraro, Forte, Gabriello, Gabbrielli, Genovese, Giannino, Giannuzzo, Gigliotti, Gravino, Gregori, Grosso, Guagliano, Guaglianone, Iannitelli, Iannitello, Iannuzzi, Iannuzzo, Ierace, La Pietra, L’Occaso, Longo, Madormo, Malfone, Marini, Marino, Martino, Martuccio, Massaro, Mauro, Melizia, Mirabelli, Miraglia, Monaco, Moranelli Morano, Muzzalupo, Pacienza, Palumbo, Pandolfo, Panebianco, Pernullo, Perrone, Ponzo, Prioli, Renda, Rennis, Riscia, Riscignuolo, Roscignuolo, Rosignuolo, Rossignuolo, Russo, Sabbatino, Salvo, Sammarco, San Marco, Scaramazza, Sirimarco, Spagarro, Sparano, Spingola, Tavolaro, Tieso, Tolesano, Tolisano, Todaro, Tricarico, Troppello, Turso, Uscal, Viaggiano, Vitrano”.
Dall’elenco che precede appaiono cognomi oggi “scomparsi”, per taluni dei quali si è anche persa memoria, questo probabilmente perché esauriti in una discendenza tutta al femminile che ne ha impedito la trasmissione. Alcuni sono sopravvissuti come soprannomi (es, truppieddhu, da Troppello, spagàrru da Spagarro, fòrti da Forte etc.), mentre altri cognomi erano riferiti a presenze temporanee od a persone non residenti stabilmente nel paese, ma in possesso di beni sottoposti a prelievo fiscale. Sono presenti alcune forme di omonimie apparenti (vedi Balsamo/Balsano, Iannitelli/Iannitello e Iannuzzi/Iannuzzo, etc.) che, da una prima valutazione, parrebbero (e taluni lo sono) errori nella trascrizione. Verifiche più accurate hanno consentito di accertare per alcuni cognomi che la differenza di una sola vocale, significava anche l’appartenenza a casati diversi.
In buona sostanza sono stati presi in considerazione e trascritti tutti i cognomi di persone che per qualsiasi circostanza sono state censite nelle terre sandonatesi.
Prendiamo ora in esame l’aspetto statistico (e per taluni, in parte, anche storico), circa origine e diffusione dei cognomi che sono, o sono stati, permanentemente o temporaneamente presenti nelle terre sandonatesi e dei quali rileviamo la sottonotata sequenza.
ABBANDONATO; rarissimo, sembrerebbe del centro-sud, potrebbe essere un cognome d’epoca. Generalmente fa parte di novero dei cognomi attribuiti a fanciulli abbandonati.
ALAGNA, parrebbe tipicamente siciliano (del trapanese e del palermitano) e potrebbe trattarsi di un cognome “etnico” ed indicare la provenienza germanica dei capostipiti, sia come contrazione del nome Alemagna (Germania), sia come distorsione del termine Alani ad indicare l’appartenenza dei capostipiti a quel popolo
ANTONUCCI; è tipico del centro-sud. Dovrebbe derivare dal nome medioevale Antonucius di cui troviamo tracce nel 1400 a Pacentro (AQ) con certo “.Antonucius dictus Zachardus…”. Fra gli studenti dell’Università di Perugia, nell’anno 1513 è menzionato Antonucius de Buclano, abruzzese. Personaggio di rilievo con questa cognominizzazione, è stato il teologo e letterato eugubino Baptista Antonucius (1532-1585).
APA, è un tipico cognome calabrese, con un ceppo anche a Napoli. Dovrebbe derivare dal termine italiano ape, intendendo probabilmente i capostipiti come apicultori o sottolinearne l’operosità. Vi è la possibilità che possa derivare da modificazioni del nome Appi della Gens Appia, integrata nella famiglia della Gens Claudia, cui venne ascritto anche il territorio barese.
ARAGONA, ha vari ceppi; a Sorso (SS), a San Filippo del Mela (ME) e Messina, a Palermo, a Roma, a Napoli ed in Calabria (cosentino e catanzarese), anche nella variante D’Aragona. Dovrebbe essere di origine spagnola e derivare da soprannomi originati dal nome della regione spagnola Aragona o dal suo etnico, ed in rarissimi casi, intendere una derivazione dal casato spagnolo degli Aragona
ARENA, deriva dal latino “rena”, sabbia ed è un cognome diffuso in tutta Italia con ceppi più consistenti in Sicilia.
ARIANO, il cognome ha un piccolo ceppo nel romano e nel frusinate, un ceppo più grande, nel casertano, nel napoletano ed avellinese, un altro nel foggiano ed uno nel brindisino. Dovrebbe derivare dal nome latino Arianus, di cui si hanno tracce nel 311 d.C. quando un ufficiale romano di nome Arianus, divenne governatore di Tebe, dove convertitosi al cristianesimo, venne ucciso e poi fatto santo. Diversa ipotesi fa risalire le origini a toponimi quali Ariano Ferrarese od Ariano Irpino, mentre altra fa derivare il cognome dal latino “Ara Jani”, altare di Giano, circostanza che starebbe ad indicare la residenza del capostipite in una località vicina ad un tempio dedicato alla divinità romana della pace e della guerra.
ARONICA, pare sia originario dell’agrigentino e potrebbe derivare dal nome germanico Aronius, di cui si trovano tracce fin dal VIII° secolo con un monaco di nome Aronius, probabilmente di origine ebraica (il nome deriverebbe dall’Aronne giudaico).
Più verosimilmente, il cognome è di origine ellenica e formato dalla fusione di due parole dell’antico greco, “aro”, portare e “nike”, vittoria, dando luogo ad “aronicas”, portatore di vittoria. Secondo alcuni ricercatori spagnoli, Aronica deriva dal basco “arru o arro”, roccia, unito a “nika”, rotonda, quindi Arronika ad indicare la provenienza da una zona caratterizzata da rocce rotonde.
ARTUSO, oltre al nucleo principale veneto (tra vicentino, padovano e trevigiano), ha un ceppo autoctono anche nel reggino. Potrebbe derivare da un soprannome grecanico basato sul termine greco antico “orthios”, elevato, erto, dovuto alla provenienza del capostipite dall’alto di una montagna ma, secondo altri, dal nome medioevale-italiano di origine franca, Artusius, di cui abbiamo un esempio a Pavia nell’anno 1151. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo in Emilia nel 1300 con Andrea Artusi Priore del convento di San Giacomo Maggiore a Bologna.
BABBATINO; raro, quasi unico. Potrebbe essere vicentino e derivare da una modificazione dell’aggettivo “babarus”, barbaro. Per altri autori questo cognome potrebbe derivare da soprannomi originati dal termine italiano “babbo”, inteso “padre”, ma è anche possibile che derivi dal nome medioevale di origine franca “Babo, Babonis”, di cui abbiamo un esempio nel Dictorum ed factorum memorabilium.
BAGNATO; ha un ceppo pugliese, uno siciliano, ma il nucleo principale è calabrese. L’origine del cognome va ricercata nel nome medievale “bagnato”, probabilmente da intendere nel senso di battezzato, purificato con l’acqua santa (vedi Battezzato e Battiato). Dal punto di vista etimologico, si riscontra corrispondenza fra “bagnare” e “battezzare”, in quanto il secondo trae origine dal greco “baptizein”, letteralmente bagnare, immergere nell’acqua. Dal punto di vista storico, tracce di questo nome si riscontrano nel 1200 a Siena con un certo Bagnato del Borgo d’Arbia, padre di Baroccio e marito di Imilia
BALSAMO, è diffuso in tutto il sud Italia, con un ceppo anche in Piemonte e Liguria. Deriva direttamente o tramite varie forme ipocoristiche, anche alterate dal dialetto, dal nome benaugurale medioevale “Balsamus”, con il significato di toccasana per la famiglia, che dal suo arrivo avrebbe solo ottenuto buone cose.
BARBIERI; il cognome e le sue derivazioni, sono da attribuire alla professione del barbiere, esercitata dai capostipiti. In Italia la distribuzione del cognome è notevole e ciò perché in antico e fino al XII secolo, al mestiere era abbinata la professione di “medico in scala minore” in quanto il barbiere era abilitato all’arte del cerusico praticare la “piccola chirurgia”, attività rifiutata dai medici laureati.
BARBIERO, E’ una derivazione del precedente e li accomuna la professione del barbiere. Il cognome ha un ceppo veneto, uno friulano, ma presenta nuclei anche in Campania, Molise e Calabria.
BARCELLANTE. Molto raro, ha un piccolo ceppo nello spezzino, uno nel pesarese ed altrettanto raro, un piccolo ceppo nel cosentino. Potrebbero derivare da soprannomi originati dal termine arcaico “barcella”, barella o dal termine dialettale lombardo “barcella”, baionetta da caccia od anche da un’alterazione del termine “barcello” usato per indicare il magazzino adiacente la casa colonica.
BARONE, con variazioni, è distribuito massicciamente in tutt’Italia, Questi cognomi dovrebbero tutti derivare, direttamente o tramite ipocoristici dal termine germanico “baro”, uomo libero declinato “baroni” con significato “dell’uomo libero”; “.sic dictus Dominus Baro voluit et ita ei pla-cuit et placet fierio”. A Bormio, nel 1630, una tale Catherina del Baron, è testimone in un processo per stregoneria.
BELLEZZA è panitaliano ed ha ceppi nel bergamasco e nella fascia territoriale centrale, comprendente anconetano, perugino, ternano, viterbese, romano, con ceppi anche nel napoletano, in Basilicata, nel foggiano e nel barese. Dovrebbe derivare dal nome augurale rinascimentale italiano Bellezza, attribuito a figli, cui si augurava crescere e divenire “una bellezza”, ossia molto belli.
BENINCASA, è distribuito in tutt’Italia. Deriva, direttamente o attraverso modifiche dialettali, dal nome gratulatorio medioevale Benencasa o Benincasa, di cui abbiamo un esempio, nel Codice Diplomatico della Lombardia Medioevale, a Cremona, in un atto del 1092; “.a meridie Anselmi, a sera de filii quondam Aginoni, a montibus Benincasa et via. Tercia pecia de terra aratoria, in loco ubi dicitur Breida...”, e anche a Solofra nel 1178: “…Ante me Iohannem Iudicem, Dominus Robertus comes Caserte, coniuctus est cum Baiulardo Monacho Monasterio Sanctae et Individuae Trinitatis, quod constructum est foris Salernitanam Civitatem in foro Metiliano, cui dominus Benencasa Dei gratia venerabilis ac Religiosus Abbas preest”.
BERLINGIERI; oltre al ceppo calabrese, diffuso soprattutto nel cosentino, presenta nuclei originari anche nel nord, per lo più nel genovese. Una prima interpretazione lo fa derivare dal nome provenzale “Berenger o Bellenger”, col significato di valoroso combattente. Alcuni, tuttavia, ritengono che il nome sia d’origine germanica, formato dai termini “beran”, orso e “gaira”, lancia, col significato, di “orso con la lancia”. Altra interpretazione richiama la voce arcaica (e sue varianti) “berlingiere”, col significato di chiacchierone, ciarlone. L’origine del termine va anche ricercata nell’antico francese “brelenc o berlenc”, tavola da gioco o da pranzo, da cui l’italiano ”berlengo”, di uguale significato, da cui il verbo berlingare, cioè chiacchierare, spettegolare, così che il berlingiere è letteralmente colui che chiacchiera molto. Si tratta di cognome derivato o dai nomi personali dei capostipiti o da soprannomi loro attribuiti. Nel 1158 è attestato ad Adernò un Willelmus Berlingerius. Secondo Rohlfs, il termine potrebbe avere alla base, sia l’antico francese “bellengier”, giocatore ai dadi, sia l’antico italiano “berlinghiere”, chiacchierone.
BIANCHIMANO; deriva probabilmente dal vocabolo bianco, usato come nome o come soprannome edoriginato da una caratteristica fisica, nel nostro caso il carnato molto chiaro.
BIONDO; ha un ceppo siciliano ed uno veneto; dovrebbe derivare da soprannomi attribuiti ai capostipiti ed originati da caratteristiche fisiche, quali avere i capelli biondi e/o la carnagione chiara.
BISIGNANI; è tipicamente meridionale; ha ceppi nel tarantino, nel materano; nel cosentino, a Bisignano ed Acri, nel messinese, a Catania, Palermo, Siracusa e Gagliano Castelferrato nell’ennese. Dovrebbe derivare dal nome del paese di Bisignano, nel cosentino, probabile luogo d’origine dei capostipiti.
BISIGNANO; è tipicamente meridionale. Ha ceppi a Fragagnano e Taranto, in Basilicata, a Stigliano e Policoro, nel cosentino a Bisignano ed Acri, in Sicilia, a San Pietro Patti, a Catania, Palermo, Siracusa e Gagliano Castelferrato. Dovrebbe, come il precedente e quasi omonimo Bisignani, derivare dal nome del paese di Bisignano nel cosentino, probabile luogo d’origine dei capostipiti.
BOMBINO, potrebbe essere una errata trascrizione del cognome Bombini che è specifico di Bisceglie e con un ceppo cosentino. Dovrebbe derivare da un soprannome originato dal vocabolo dialettale pugliese “bommìne”, bambino (in sandonatese, “bòmmìnu”, bambolino, bambino). Di questa cognominizzazione troviamo tracce su di una lapide del 1700 conservata nella Cattedrale di Cosenza, che recita; “…consentinus eques Thomas Bombinus”.
BONADIES, è una delle varianti del cognome latino “Bonadeus”, con ceppi in tutta la penisola e dovrebbero derivare dal nome medievale Bonadeus, o da sue alterazioni successive. Di queste cognominizzazioni si hanno tracce in Calabria (nel 1180 a Isola di Capo Rizzuto dove troviamo come vescovo un certo Bonadeus de Negronibus), nel Bergamasco dove a Ponte San Pietro come parroco c’è: “Bonadeus, presbiter et beneficialis ecclesje S. Petri” ed in Valtellina nel 1600 come esattore delle gabelle del comune di Bianzone (SO) troviamo un certo Lorenzo Bonadeo.
BORRELLI, è decisamente panitaliano e distribuito in tutta la penisola. E’ particolarmente presente nel Piemonte occidentale ed in Calabria. La derivazione di questi cognomi, oltre che da toponimi, potrebbe essere ascritta al termine “borro”, (torrente, orrido, crepaccio) ed in alcuni casi al vocabolo celtico “borro”, (altero, fiero), che sembra aver anche generato il nome medioevale “Borellus”.
Per quanto concerne l’aspetto etimologico potrebbe essere valida, sia un’origine topografico-toponomastica, sia una derivazione da un vecchio soprannome, sia la cognominizzazione di un antico nome di battesimo. Numerosi sono i toponimi contenenti i termini borello, borella e simili (Borrello (CH), Borella (PD), Valle del Borello, (nell’Appennino Romagnolo), alla cui base si trova spesso (ma non sempre), il termine borro, col quale si indica o un burrone o un luogo scosceso attraversato dall’acqua. Interessante ad esempio è la storia del comune di Borrello, un tempo parte della cosiddetta Terra Borrellense, feudo fra l’alto Molise e il chietino. Questa terra, grande possedimento feudale, apparteneva alla potente famiglia franca dei “Borrello” italianizzazione del francese “Borel”. Altra ipotesi è la derivazione da un soprannome, originato dai diversi significati del termine burella, (corridoio sotterraneo, angusto e buio e per estensione, carcere). Altra accezione, burella era anche sinonimo di budella, intestino. Burello. Infine, ma con minore validità burella era il nome dato a un tipo di panno scuro e grezzo. Borello, Borrelli e simili, per ulteriore ipotesi dovrebbero derivare sia dal nome medievale Borellus, sia dal termine tardo latino “burnus”, con significato di rosso fuoco, fiammeggiante. In latino, il termine ha però assunto anche l’accezione di rosso cupo, tetro, il “burnus”, mutuato dal greco pyrrhos, per cui Borellus significherebbe anche rossiccio, rossastro e equivarrebbe al nome greco Pyrrhos, noto in Italia come Pirro.
BRUNO, cognome molto presente in tutt’Italia. L’origine va ricercata nel nome medievale Bruno che nell’onomastica descrittiva, allude o al colore dei capelli o alla carnagione scura. In alcuni casi non si può escludere una connessione con la toponomastica, considerando che in Italia vi sono diversi toponimi contenenti la radice brun (soprattutto nel nord, vedi: Brunico). Si tratta delle cognominizzazioni dei nomi personali dei capostipiti, anche se in alcuni casi non è esclusa una derivazione da un soprannome, talvolta connesso alla toponomastica
BUONO, è diffuso in Umbria e in tutto il sud e deriva dal nome medioevale Buonus, a sua volta dal nomen latino Bonus. Ne troviamo un esempio in una lettera al podestà di Pistoia del 1432, dove si legge: “…Doni et Buonus Niccolai Buoni de Businis..” L’origine di questi cognomi va ricercata nel soprannome o nome medievale Buono che, nell’onomastica arcaica assume un chiaro valore augurale. Tuttavia va notato che il cognome Buono non ha sempre un’origine italiana, per lo meno non in senso stretto. Alcune di queste famiglie infatti sono di antica origine arbëreshë, mentre altre hanno una lontana discendenza ebraica.
Nel caso arbëreshë pare che Buono traduca o l’albanese mirë o il greco kalòs, termini che nelle rispettive lingue, significano appunto buono (in greco antico, a dire il vero, l’aggettivo kalòs aveva diverse sfumature, che spaziavano fra il concetto di bontà e quello di bellezza). Fra le due ipotesi, la più probabile è quella di un’origine arvanita (greco-albanese) e si veda in proposito la diffusione del cognome Calò nel sud Italia. Passando ora alla fonte ebraica, va notato che bisogna distinguere fra almeno tre origini, a seconda della diversa provenienza geografica. Se il cognome è nato in Italia, è probabile che queste famiglie abbiano adottato semplicemente un cognome italiano. Tuttavia è possibile che i Buono ebreo-italiani abbiano origini in parte ashkenazite e in parte sefardite. Nel primo caso (ashkenazite), Buono nascerebbe da una traduzione del cognome tedesco Gut, che, assieme alla variante Guth, significa letteralmente buono. Nel secondo caso (sefardite), invece Buono deriverebbe da un adattamento del cognome spagnolo Bueno, di evidente significato.
CAMPILONGO; ha un ceppo a Napoli, uno nel leccese, a Lecce, a Taranto ed uno nel cosentino, a Verbicaro, Belvedere Marittimo, Castrovillari, Rossano, Firmo e Scalea. Dovrebbe derivare da nomi di località chiamate “campo lungo” probabili luoghi d’origine del capostipite.
CAMPOLONGO; è cognome di una famiglia le cui origini risalgono ai tempi della dominazione normanna; ha ceppi nel napoletano, salernitano e cosentino (San Donato, San Marco, Mormanno, Firmo, Altomonte). Come i similari, il cognome deriva da soprannomi che servono ad identificare una provenienza, es “Quelli del campo lungo” che potrebbero essere divenuti Campolunghi, Campilogno, Campolongo etc. A tale proposito, nel territorio fra Acquaformosa e Lungro, si segnala l’esistenza di un vasto altopiano denominato “Campolungo”. Questo cognome ed il precedente, dovrebbero derivare da nomi di località d’epoca medioevale, quando con il termine “campilia” si definivano delle terre adibite a coltivazioni varie, amministrate da una comunità di cittadini ed i cui frutti venivano distribuiti tra i vari abitanti delle zone circostanti.
CAPANO; ha ceppi nel napoletano, nel salernitano e nel potentino e nuclei nel foggiano, nel leccese, nel barese, ed uno importante nel cosentino (Belvedere Marittimo, Cosenza, San Donato di Ninea, Catanzaro e Botricello). Dovrebbe derivare da nomi di località come quella citata in quest’atto, tratto dal Codex Diplomaticus cavensis; “In nomine domini sextodecimo anno principatus domni nostri Gisulfi gloriosi principis, mense nobembri, undecima indictione. Memoratorium factum a nobis Romualdus presbiter filius quondam Petri et Romoaldus presbiter, qui sumus pater et filius, eo quod coram presentia domne Theodore filiae domni Gregorii consuli et ducis romanorum, que fuerat uxor Paldulfi filii.. .. parte occidentis passi centum sexaginta duo, et una pecia de terra cum arbustis et binea in locum selecta ubi trulianum dicitur, et una pecia de terra cum arbustum et castanietum in locum propiciano ubi Capano dicitur, et alia pecia de terra ubi bico dicitur et milito vocatur.” Tracce di questa cognominizzazione le troviamo nella seconda metà del 1500, quando i Capano, principi di Pollica, fanno costruire e controllano la Torre di Cannetiello o del Capo della Punta, nel salernitano, con funzione di Torre di avvistamento contro gli attacchi dei saraceni. Nel 1550 Ferrante Capano diventa Signore di Siderno nel reggino e nella seconda metà del 1600, la principessa Vittoria Capano, è moglie del feudatario di Mesagne (BR) Nicola de Angelis mentre, nel 1700, Marianna Capano Orsini, principessa di Pollica e anche contessa di Celso.
CAPPARELLI; ha un piccolo ceppo a Campochiaro (CB), uno a Roma, uno a Napoli, uno a Foggia, ma il ceppo principale è in Calabria nel cosentino (Altomonte, Acquaformosa, Cosenza, Cerzeto, Mottafollone, Lungro, San Benedetto Ullano, Firmo, Fagnano Castello, Castrovillari, Rende, San Donato Ninea e Verbicaro). Questo cognome e le sue derivazioni, avrebbero origine da un soprannome basato su di un termine di origine grecanica, “copparero”, che indicava il mestiere di taverniere ed anche da un ipocoristico dialettale del termine latino “magister capparius”, artigiano che produceva cappe e mantelli.
CAPOLUPO, molto raro e di origini calabresi, di Catanzaro in particolare. Del cognome Capolupo, esiste un ceppo anche nell’avellinese (Avellino, Capriglia Irpina, Sant’Angelo a Scala e Summonte) ed a Napoli. Un ceppo, probabilmente secondario, a Roma, uno a Matera ed uno nel cosentino in San Donato di Ninea. Il cognome e le sue derivazioni, avrebbero origine nella traduzione italiana del nome longobardo (ma molto usato anche dagli svevi), Hauptwolf, che ha il significato di “primo fra i lupi, di lupo dei lupi”, cioè di “grande capo glorioso”, se pensiamo al valore attribuito alla figura del lupo presso i popoli germanici.
CARDEA; ha un nucleo a Grottaglie (TA) ed uno nella zona dello stretto di Messina. Dovrebbe derivare da soprannomi connessi con il vocabolo greco kardia (cuore) ed in alcuni casi possono derivare da toponimi greci omonimi come la città di Kardia in Tracia. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo nella Locride fin dal 1600.
CARITO; molto raro. Ha presenze in Calabria (catanzarese e crotonese) e dovrebbe trattarsi di forme etniche grecaniche riferite al paese di Caria di Drupia, nel vibonese e di Accaria, nel catanzarese. Potrebbe essere riferito anche a genti provenienti dalla Caria, regione della penisola anatolica.
CARO; estremamente raro è presente in modo assolutamente disperso in tutt’Italia. Dovrebbe derivare, direttamente o tramite ipocoristici, dal cognomen latino “Carus” (ricordiamo lo scrittore Titus Lucretius Carus). Personaggio famoso con questo cognome è stato Annibal Caro (1507-1566), celebre traduttore dell’Eneide.
CARUSO; è un cognome diffusissimo in tutta Italia, anche se si può ipotizzarne la provenienza siciliana. Direttamente o tramite una forma ipocoristica, trae origine dal termine dialettale, “carusu”, ragazzo, garzone.
I Caruso, probabilmente discendono dal cavaliere Pier Fortugno che nel 1026 espugnò la città di Nocera dei Pagani travestendosi da saraceno e rasandosi il capo e che nell’impresa perse la vita.
Sull’origine di questo cognome, confluiscono diverse ipotesi che, sommate, giustificano l’altissima frequenza di famiglie Caruso nel paese. La prima interpretazione, caruso–ragazzo, un tempo indicava anche un giovane bracciante agricolo e comunque, un giovane lavoratore (in Sicilia, erano chiamati carusi i lavoratori alle miniere di zolfo). L’origine del vocabolo va ricercata, o nel latino “cariosus”, cariato, tarlato ed in senso figurato, di rasato, dai capelli radi, oppure nel greco “kara”, cioè testa, anche testa rasata. Questo etimo, che avvicina il termine caruso al settentrionale toso (dal latino “tonsus”, tosato), è dovuto a un antico costume secondo il quale i giovani, per distinguersi dagli adulti, dovevano portare i capelli molto corti. Per la seconda ipotesi, va detto che alcune famiglie Caruso sembrano provenire da un antico casato che ha come capostipite il gia citato Pier Fortugno, noto come “Cavalier Caruso”, cavaliere rasato. Per quanto riguarda invece la terza e ultima ipotesi (forse quella che meglio giustifica la vasta diffusione di famiglie Caruso nel nostro paese) questo cognome dovrebbe derivare dal nome medievale “Caruso”, da intendersi in uno dei significati sopraelencati, anche se il più accreditato pare quello di giovane, ragazzo. Caruso sembra nascere dapprima come soprannome e col tempo essere adottato come nome di persona, sul modello dei cognomi latini, molti dei quali vennero poi nominizzati.
CASELLA; è cognome diffuso in tutt’Italia. Casella e Casello sono specifici del potentino (Melfi e Barile in particolare) e dovrebbero derivare da toponimi quali; Casella (GE e TV), Caselle (VR) – (TV) – (BO) – (SA) – (LO) o dal nome di fondi medievali come una “Cartula offertionis, investiture et concessionis” citata nel Codice Diplomatico della Lombardia medioevale, a Pavia nell’anno 1177; “…offero predicto monasterio nominative meam personam et insuper omnes il-las terras iuris mei quas habere videor in loco et fundo Caselli et in eius territorio..”.
CELESTE o CELESTI; Celeste è diffuso a macchia di leopardo nel centro sud ed in Sicilia; Celesti ha un ceppo nel perugino, nel viterbese e romano e nel messinese. Dovrebbero derivare dal nome, sia maschile che femminile Celeste, attribuito da genitori che, da buoni cattolici, attribuendolo intendevano augurare, al proprio figlio o figlia, il migliore dei futuri possibili.
CERASA; cognome tipico del centro Italia, Cerasa potrebbe avere ceppi nel leccese e nel palermitano. Questo cognome e le sue varianti, dovrebbero derivare da soprannomi legati al vocabolo latino “cerasum” ciliegia, oppure a toponimi come Cerasa (PS), Cerasuolo (IS), Ceresara (MN), Cereseto Monferrato (AL)
CERASO; è una delle varianti del precedente e dovrebbe derivare da soprannomi legati, direttamente o tramite ipocoristici, al vocabolo latino “cerasum” (ciliegia), nelle varianti dialettali e toponomastiche.
CERAVOLO; è tipicamente calabrese e diffuso del reggino, soprattutto a Bovalino e Feroleto della Chiesa, ma è ben presente anche a Catanzaro, Soriano Calabro (VV) e Cirò Marina, nel crotonese. Dovrebbe derivare da soprannomi la cui origine è nel termine arcaico “ceraulo o ciraulo” che significa, sia incantatore di serpenti, sia imbroglione, vocaboli a loro volta derivati dal termine greco “keraùles”, suonatore di flauto, incantatore. Nel 1400 i cerauli o celauri o serpari, difendevano il bestiame dai morsi del serpente, quindi questi cognomi potrebbero anche derivare dal citato mestiere svolto dai capostipiti.
CERBELLI; dovrebbe derivare dal medievale Cerbonius o da forme etniche di origine soprannominale che originano dal sostantivo cervello, latino “cerebellu(m)” diminutivo di “cerebrum”, inteso, sia come parte principale dell’encefalo, sia “senno, intelletto, intelligenza”. Lontana appare l’ipotesi che possa avere derivazione da toponimi di paesi, dei quali abbiamo tracce in documenti del XII° secolo, come Cerbaro (PZ), l’antica località Cerbaro (BN) o da altra omonima nell’avellinese.
CERCHIARO; Pare che il cognome non abbia nessun collegamento con la fabbricazione di cerchi, ruote o simili ma è dovuto alla probabile origine da Cerchiara di calabria del capostipite.
CIANNI; ha un ceppo nel romano (Roma, Valmontone e Capena) ed un ceppo nel cosentino (Cetraro, Belvedere Marittimo, Sangineto, Sant`Agata di Esaro, San Donato Ninea). Dovrebbe trattarsi di una forma ipocoristica contratta, riferibile al nome medievale “Cantius” e soprattutto al nome “Canzianus”. Potrebbe anche derivare dai cognomi “Ciano, Ciani” e simili o dotati di analogo prefisso, diffusissimi nell’area alpina nord-orientale e zona di loro origine, sin dall’epoca celtica. In tale zona geografica erano insediate, in modo certo e comprovato, almeno dal VI° secolo a.C, le popolazioni e le tribù dei “kiarns”, da cui il nome di “Carnia, Carinzia, ecc.”. Il cognome, “italianizzato” in Ciani e derivati, dovrebbe essersi poi diffuso secondo una linea discendente dal nord-est verso l’area centro-meridionale, in copia alla direzione di movimento che seguirono le citate tribù galliche.
COLOSIMO; è caratteristico della Calabria, in specie la provincia di Catanzaro, con presenze significative anche a Colosimi, nel cosentino, ed a Crotone. Secondo alcuni deriverebbe da un soprannome di origine greca con significato di “uomo dal sedere curvo”. Secondo altri prenderebbe il nome dal paese di Colosimi nel cosentino, ma è storicamente accertato il contrario, cioè che Colosimi abbia preso il suo nome dalla famiglia Colosimo che lo avrebbe fondato e sul quale avrebbe esercitato signoria. Altra ipotesi, ritenuta più plausibile è quella di una derivazione da modificazioni dell’aferesi nel nome Nicola in Cola poi Colo da cui Colosimo.
CONSOLI; ha ceppi importanti in tutto il sud ed un nucleo autonomo in Lombardia. Dovrebbe derivare, direttamente o tramite alterazioni dialettali, da soprannomi o nomi originati dal termine latino “consul”, console, magistrato di altissimo livello. Il nome Consolo lo troviamo in un Lodo arbitrale del 2 gennaio 1233, dove viene citato un Consolo Martini, sindaco “castri Montis Abbatis” nell’ urbinate. E’ anche possibile che il cognome origini dalla circostanza che la famiglia sia stata al servizio di un Console.
CORDASCO; il cognome potrebbe derivare dalla Gens Cordia o dal cognomen latino Cordus o dal nomen Cordius, di cui abbiamo un esempio in uno scritto dello storico latino Iunius Corpus; “..Sed priusquam de actibus eorum loquar, placet aliqua dici de moribus atque genere, non eo modo quo Iunius Cordus est persecutus omnia, sed illo quo Suetonius Tranquillus et Valerius Marcellinus, quamvis Curius Fortunatianus, qui omnem hanc historiam perscripsit…”. Potrebbe però derivare anche da un soprannome, più o meno dialettale, legato al mestiere del produttore o venditore di corde. Non è escluso che, in rapporto alla sua etimologia, derivi dal vocabolo celtico Cordd o Kordd termine che indicava un clan gallico. Il soprannome, nel tempo, sarebbe stato mutato in Korda o Corda del linguaggio gallico-cisalpino e poi latinizzato nel cognomen latino Cordus o nel nomen Cordius, dai quali dovrebbero derivare, con alterazioni, varianti e troncamenti intervenute nei tempi i cognomi italiani con desinenza “corda”.
CUCCI; è tipico del sud italia. Probabilmente deriva da un adattamento fonetico e ortografico del cognome arbëreshë “Puqi”, dalla radice “Puq o Puci” o anche da “puçi” che è un termine introdotto con le emigrazioni di popolazione albanese nel XV secolo ed ancora oggi presente in Albania come cognome. In particolare potrebbe derivare da un toponimo locale albanese “Puci o Puka” e potrebbe aver generato nel sud Italia anche l’omonimo cognome Puci, presente soprattutto in Sicilia. E’ tuttavia difficile risalire alla forma cognominale originale senza l’ausilio di documentazione dell’epoca, ciò perché l’ortografia della lingua albanese ha subito una standardizzazione solo a partire dall’inizio del 1900.
CURCI; di origine toscana, dovrebbe derivare da soprannomi legati al vocabolo “curcio o curto”, corto, basso di statura.
CURCIO è siciliano o più propriamente palermitano ed avrebbe derivazione analoga al precedente Curci.
D’ALOISE; ha un nucleo romano, un ceppo napoletano ed uno cosentino. E’ sparso a macchia di leopardo per la penisola e deriva dal nome franco Clodoveo (poi Ludovico divenuto infine il moderno Luigi). Ha subito molte trasformazioni ed una delle prime è stata la latinizzazione in “Aloisius”, dal quale hanno avuto origine le varianti cognominali, diffuse in tutta la penisola. E’ cognome antico che risale a prima del 1400.
DATTOLI; potrebbe essere dovuto ad un errore di trascrizione di Attili (cognome tipico dell’area anconetano-maceratese, nonchè di Umbria, Lazio e dell’aquilano) e derivare o dal nome della Gens romana “Atilia” o dal “nomen” latino “Atiliu”.
DELIA, tre nuclei principali; il più antico a Bari, poi uno a Cosenza ed uno a Napoli. Nel cognome potrebbe essere indicata una discendenza da una gens Cornelia o Servilia. Come l’omonimo d’Elia potrebbe derivare da un toponimo come Delianuova (RC). Potrebbe anche essere la variante matronimica del cognome base Lìa, a sua volta cognominizzazione del personale Lìa, figlia di Làban e prima moglie di Giacobbe, al cui nome alcuni studiosi fanno risalire al verbo ebraico “leah”, affaticarsi, che dall’ebraico fu tradotto in greco come Léia e reso nella vulgata come Lìa e così appare in latino. In Sicilia è una forma abbreviata di Rosalìa, patrona di Palermo, ma nelle altre regioni italiane può essere anche una forma ipocoristica di Amàlia, Aurèlia ecc. Qualche altro studioso ha pensato a un nome aferetico di Elìa.
D’ELIA, è specifico del sud, dove è molto diffuso (cosentino, materano, tarentino, messinese e palermitano soprattutto); condivide origine ed etimologia col precedente Delia e qualcuno ha ipotizzato la derivazione dal nome Elias, con l’aggiunta della “d” patronimica.
DE MAIO; come l’omonimo Di Maio, dovrebbe derivare dal nome medioevale Maggio e riferirsi a famiglie di capostipiti il cui padre si fosse chiamato Maggio o Majo. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo ad esempio in Sicilia in un testamento della prima metà del 1300; “..item quondam domino Rinaldo de Thermis sive suis heredibus uncias sex; Item Si-moni de Maggio de Cammarata sive suis heredibus uncias octo…”. Il nome Maggio o Maio potrebbe derivare o trarre origine dalla consuetudine di alcune comunità religiose, di assegnare questo cognome ai trovatelli nati durante il mese di Maggio da cui il nome medioevale Majolus o Magiolus.
DELL’OSSO, diffuso nel cosentino, dovrebbe derivare dal nome latino Ossius, osso con l’aggiunta della “d” patronimica. E’ anche possibile che possa derivare dall’italianizzazione, o del nome slavo Oslak, o del nome arabo Osama, o del nome ebraico Hosah.
DE PAOLA, è diffuso massicciamente in tutto il sud con nuclei diversi, ma il maggiore e più significativo proviene dalla zona campana ai confini con la Basilicata. Deriva dal nome Paolo originato dal cognomen latino “paulus”, piccolo.
DE ROSA; è diffusissimo in tutta la penisola, ma soprattutto al sud (Campania in particolare). Deriva dal nome Rosa utilizzato nel medioevo come nome augurale e più tardi come devozione alla santa omonima e starebbe ad indicare “quelli di Rosa”, intesi figli o parenti. Tracce molto antiche di detta cognominizzazione si trovano, ad esempio nel Codice Diplomatico della Lombardia medievale, in un atto redatto a Milano nel 1177, dove si legge: “…presentibus et consentientibus Prexano, Ambroxio Rolandi, Zanatto et Bellone ac Petro Longo, Ambrosio de Rosa, Martino Zanatti et Petro Botto ac Iohan-ne Garaverni vicinis suis…”.
DE ROSE, è specifico del cosentino (Cosenza, Rende, Torano Castello, Fagnano Castello, Castrolibero, Montalto Uffugo, Rose, Mendicino, Cassano allo Ionio, Carolei, Rovito, San Donato Ninea e Spezzano Piccolo). Dovrebbe essere dovuto ad un’errata trascrizione del precedente De Rosa o ad una sua modificazione con la quale indicare la provenienza dei capostipiti dal paese di Rose, sempre nel cosentino.
DE SUA; abbastanza raro; potrebbe derivare dal termine tardo greco “syax”, suino (latino “suis”, porco). Il termine porco è usuale come cognome in alcune zone della calabria ed un Antonio Porco per un certo periodo ha dimorato nel nostro paese. La particella “de” a precedere “suis” potrebbe essere un attributo patronimico usato per ingentilire un termine riferito alla condizione del capostipite quale proprietario (o custode e guardiano) di una mandria suina.
DI GIACOMO; molto presente in tutta l’Italia centro meridionale, deriva dal nome Giacomo con l’aggiunta della “d” patronimica ad indicarne la discendenza.
DI GIORNO, è tipicamente calabrese e del cosentino (Luzzi, Montalto Uffugo, Cosenza e Castrovillari), e di Cirò nel crotonese. Si dovrebbe trattare di forme aferetiche originatesi dal nome medioevale Bongiorno, probabilmente portato dai capostipiti.
DI LEONARDO; decisamente non comune. E’ cognome propriamente del sud (Campania, Calabria meridionale e Sicilia) e deriva, direttamente o attraverso modificazioni o ipocoristici, dal nome di origine germanica Lionhardus di cui abbiamo un esempio in una Charta Manumissionis redatta in Cremona nel maggio del 754; “..Ghodiperth, Ilmeri et Aicardo de eadem curte Gussala, nec non Lionhardus subdiaconus”.
DI LUCA; diffuso in tutt’Italia, con grossi ceppi nel Lazio, Abruzzi, Marche, Campania e Venezia Giulia, deriva dal nome Luca, preceduto dalla “d” patronimica. .
DI MAIO; ha un nucleo campano ed uno nell’area situata all’estremità occidentale della Sicilia. Come l’omonimo De Maio, dovrebbe derivare dal nome medioevale Maggio e riferirsi a famiglie di capostipiti il cui padre si fosse chiamato Maggio o Majo, quindi i discendenti di Maggio o Majo. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo ad esempio in Sicilia in un testamento della prima metà del 1300; “..item quondam domino Rinaldo de Thermis sive suis heredibus uncias sex; Item Si-moni de Maggio de Cammarata sive suis heredibus uncias octo…”. Il nome Maggio o Majo potrebbe derivare o trarre origine dalla consuetudine di alcune comunità religiose, di assegnare questo cognome ai trovatelli nati durante il mese di Maggio da cui il nome medioevale Majolus o Magiolus.
DE PAOLA o DI PAOLA; è diffuso in tutto il centro sud, particolarmente in Sicilia. Può derivare da toponimi come Paola o Paola Marina (CS), Paolini (TP), Paolisi (BN), Colle di Paolo (TN), o simili, come può, in molti casi, pure derivare dal nome latino Paullus, o dal suo equivalente italiano Paolo o Paola.
DI TODARO; è una variazione del cognome Todaro con l’aggiunta della particella “Di” a sottolineare discendenza ed appartenenza alla “gente Teodora”. Nasce, da una modificazione del nomen latino di origine greca Theodorus, ma deriva dal medioevale Todaro, di cui abbiamo traccia ad Avellino nel XII° secolo con Todaro fu Costantino, arcipresbitero di rito greco. Tracce di questa cognominizzazione le troviamo, tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500, a Naso (ME), col notaio Pietro Todaro.
DOMANICO, è tipicamente calabrese (del cosentino) e dovrebbe derivare dal toponimo Domanico (CS).
DOMINIANNI; è specifico di Catanzaro, di Sant`Andrea e di Isca sullo Ionio. Deriverebbe dal latino “dominus Janni”, quindi dall’appellativo signore Giovanni, don Giovanni, padron Giovanni
D’ORDINE; raro. Può derivare dal soprannome del capostipite, probabilmente aduso ad un modo di vivere equilibrato, composto, rispettoso delle regole, attaccato alla tradizione, in conclusione quel che veniva agli inizi del XVIII secolo veniva definito “uomo d’ordine”.
DURANTE; è diffuso in tutta la penisola, con maggiori concentrazioni nel sud. Deriva da uguale nome, molto usato soprattutto nell’alto medioevo. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo a Padova (nella seconda metà del 1400 con Hieron. de Durantis autore del De materia coeli quaestio contra Averoym). A Narni (TR), nella seconda metà del 1500, è luogotenente un certo Pollux Durantis. Il cognome ha significato di preciso, perseverante, fermo, ottenuto dal participio presente “durans, durantis” del verbo latino “duro”, la cui traduzione è indurre, rendere duro, indurire, rendere solido, fortificare o radicarsi, rendere insensibile, resistere a, sopportare, costipare, indurirsi, divenir duro, durare, sussistere o ancora esser duro, spietato. Secondo alcuni studiosi può anche venire dal personale germanico “Durand”, per il quale il detto nome viene dalla radice “dur”, aferesi del nome della tribù degli Hermunduri . Secondo uno studioso tedesco, il verbo latino “durare” non c’entra, essendo un prestito registrato solo a partire dal periodo medio alto tedesco
ESPOSTO; è estremamente diffuso in tutt’Italia (ed in Campania in particolare). Deriva dal nome “Expositus” dato ai bambini abbandonati o “esposti” davanti a luoghi di carità, quali i sagrati delle chiese o dei monasteri.
FALBO; è tipicamente calabrese, (Sersale, Catanzaro, Cropani, Lamezia Terme, Sellia Marina, Cosenza, Luzzi, Cassano allo Ionio, Rende, Villapiana, Rossano, San Marco Argentano, Zumpano, Crotone, Caccuri e Cutro). Dovrebbe derivare da soprannomi basati sul termine latino “falbus”, giallo, forse ad indicare l’appartenenza dei capostipiti a comunità ebraiche. Non si può comunque del tutto escludere l’ipotesi di una derivazione dal nome punico “Fuabal”.
FALVO, ha un ceppo a Napoli, ma il nucleo principale è in Calabria (Lamezia Terme, Gizzeria, Catanzaro, Feroleto Antico, Serrastretta e Soveria Mannelli). Condivide origini ed etimologia col precedente Falbo, che secondo alcuni, proviene anche dall’antico aggettivo ”falbo”, giallo scuro, originato dal germanico “falp”.
FASANO; potrebbe derivare da un soprannome legato al termine dialettale veneto “fasan” (fagiano). E’ tipico nel sud Italia, in particolare, Puglie, Campania e Calabria e dovrebbe discendere da toponimi come Fasana nel salernitano o Fasano nel brindisino.
FERRARO, è molto diffuso ed in modo omogeneo in tutt’Italia e derivare, direttamente o attraverso ipocori-stici o alterazioni varie, da soprannomi legati al mestiere di fabbro (dal latino faber ferrarius) o di lavorante all’estrazione od alla fusione del ferro.
FEDELE, è diffuso in tutta Italia e deriva dal nome Fedele che a sua volta deriva dal cognomen latino Fidelis
FIORAVANTE (o FIORAVANTI), Fioravante, molto raro è tipico del centro sud continentale; Fioravanti è diffuso in tutto il centro nord. Derivano dal nome medioevale Fioravante, di cui si ha esempio in un testamento del 1533 a Solofra (AV) dove si legge: “…per lassito confirmato per condam messere Fioravante de Maffeis mio patre…”. Tracce di questa cognominizzazione si trovano a Bologna verso la fine nel 1400 con l’architetto Fioravante Fioravanti costruttore tra l’altro del palazzo comunale di quella città. Fioravanti deriva da Florabant, nome di un saraceno nell’antica epopea francese.
FORTE; è diffuso in tutt’Italia, con particolare concentrazione al centro sud e deriva dal nome medioevale Forte o da contrazioni di nomi composti, come Fortebraccio e simili.
FRAGALE, è tipicamente calabrese (cosentino, catanzarese e crotonese), con ceppi anche in Sicilia (soprattutto nel palermitano). Dovrebbe derivare da un nome o da un soprannome, originato dal termine tardo latino fragalis, fragale, odoroso, profumato. Potrebbe, anche se molto poco probabile, derivare da una modificazione del termine arabo faragallah, gioia di Allah. Tracce di questa cognominizzazione si trovano in Cetraro (CS) dove, nel XVII secolo operava il mastro muratore Saverio Fragale. Nella seconda metà del 1700, Monsignor Giuseppe Fragale era decano della cattedrale di Belcastro (CZ).
FRAGOMENI, è un cognome sicuramente originario della zona fra Siderno, Locri e Gerace, dove a tutt’oggi è uno dei cognomi più diffusi. Per immigrazione è anche radicato in Piemonte, Liguria e Lazio. Fragomèni, Fracomèni e Fraumèni, sono cognomi attestati in Calabria e Sicilia e, secondo G. Rohlfs, potrebbero venire dal greco “phragménos”, barricato, riparato dietro una palizzata (dal vocabolo greco fragma, palizzata)
FURCI, è tipicamente calabrese della parte meridionale della regione (Dinami, Mileto, Ricadi, Joppolo, nel vibonese; Taurianova e Fiumara nel reggino). Dovrebbe derivare dal nome del paese siciliano di Furci Siculo nel messinese, probabile luogo d’origine dei capostipiti.
GABRIELLI o GABBRIELLI; è diffuso in tutt’Italia, con maggiori concentrazioni al centro nord e deriva dal nome medioevale Gabriello che a sua volta originato dal “Gabrielius” bizantino. Casato importante quello dei Gabrielli a Roma, iscritto fra le famiglie nobili fin dal 1300 e del quale ricordiamo Jacobello Gabrielli, nobile romano e Conservatore di Roma nel 1388.
GIANNINO, parrebbe originario delle province di Napoli e Caserta, ma non è da escludere qualche ceppo in Sicilia e nelle Puglie. Deriva da variazioni, ipocoristiche o accrescitive ed anche composite, della forma contratta Gianni, originata dal nome Giovanni.
GENOVESE o GENOVESI; è assolutamente panitaliano e dovrebbe derivare da soprannomi legati al toponimo Genova ma, in alcuni casi, potrebbero anche essere una variazione del nome medioevale Genovino.
GIANNUZZO; ha lontane radici nel sud (un ceppo nel leccese a Cutrofiano e Diso, ed uno piccolo a Mazzarino nel nisseno). Deriva da variazioni ipocoristiche o diminutive, anche composite, della forma contratta Gianni, originata dal nome Giovanni.
GIGLIOTTI, è presente a macchia di leopardo in tutt’Italia, con particolare concentrazione in Calabria (cosentino e catanzarese) e particolarmente concentrato a Lamezia Terme. Potrebbe derivare, in alcuni casi, da toponimi quali Giglio Isola (GR) oppure più frequentemente da ipocoristici del nome e soprannome medioevale Gilius, di cui abbiamo un esempio a Milano in un atto del 1132: “…item iugalibus, unde odie cartam vendicionis fecerunt de alia medietate ipsius vinee cum area eius in manus et potestatem Anselmi qui dicitur Gilius, de suprascripta civitate..:”. Tracce dell’uso degli ipocoristici ne troviamo pure a Faenza nel 1275: “…Postmodum arengavit dominus Giliottus iudex de Favencia pro comuni Favencie. Demum dominus Maghinardus de Sosenana potestas Faventie, nomine et vice comunis Faventie, iuravit fidelitatem predicto domino cancellerio…”.
GIUNTA; oltre al nucleo principale in Sicilia, sembra avere ceppi nel pesarese, nel lucchese, nel milanese e nel torinese. Dovrebbero tutti derivare, per aferesi, dal nome gratulatorio medioevale Buonaggiunta o Buonaggiunto, di cui abbiamo un esempio nel 1200 con il poeta lucchese Bonaggiunta Orbicciani e nel 1300 con Buonaggiunta da Poppleto capitano di ventura. Tracce di questa cognominizzazione le troviamo a Firenze nel 1400 con il mastro costruttore Meo di Piero Giuntini e nel 1500 con la famiglia di editori Giunti.
Nella storia di Firenze i Giunta sono nominati sia fra i membri del Consiglio degli Anziani (uno dei massimi organismi del Governo di Firenze) nell’elenco antecedente al 1260, perciò nel Consiglio Guelfo. A pagina 51 del medesimo testo viene riportato “Giunta di Bellincione” ed a pagina 328, riferito al Notarile Antecosi-miano si parla di un Giovanni di Giunta. (1296 – 1298). Nel libro I Toscani in Friuli viene riportata la venuta, nell’anno 1297, in Cividale di uno Zonta de Florentia (venezianizzazione di Giunta dei Torresani) e vengono riportati tra le famiglie maggiori provenienti dalla Toscana i Giunta (Zonta ). Nel 1378 il Nobile Antonio ZONTA (Giunta) e nominato, lui ed eredi, Conte Palatino dall’Imperatore Carlo IV.
GRAVINO; parrebbe specifico del casertano (San Tammaro, Aversa e Santa Maria La Fossa), con un ceppo anche a Napoli. Dovrebbe derivare dal nome medievale Gravinuys ,di cui abbiamo un esempio in un atto del XII° secolo in Sicilia; “…scripsit Tricarici comes et comes ille Gravini, scripsit cum triplici prole Philippus idem…”.
GREGORI; è diffuso in tutto il centro nord e deriva dal nome medioevale Gregorius, a sua volta originato dal nome greco Gregòrios (scattante, dalla risposta pronta). Con questo nome ricordiamo il Papa San Gregorio Magno morto nel 604.
GROSSO; è diffuso in tutt’Italia. Deriva, direttamente o tramite ipocoristici, dal nome medioevale Grossus, di cui abbiamo un esempio in una carta venditionis dell’anno 1154 a Milano. Tracce di questa cognominizzazione si trovano nel Codice Diplomatico della Lombardia medievale, sotto l’anno 1191. Per alcuni studiosi il cognome origina dal termine grosso, generalmente riferito alla grandezza di persona, animale o cosa, intesa come volume o peso, per altri dal “grossus”, una moneta d’argento, d’epoca medievale e del valore iniziale di un decimo di lira e con valore definitivo di 4/10 di lira (in quel tempo la lira, a livello europeo, valeva circa 500 Euro del 2007).
GUAGLIANO; probabilmente origina da una errata trascrizione del termine napoletano “guaglione” (ragazzo), termine dal quale è derivato poi il cognome attribuito al capostipite. Potrebbe essere anche una derivazione del cognome Guagnano, che è tipicamente pugliese (Noci, Gioia del Colle, Mottola, Taranto, Nardò e Copertino) o dal nome del paese di Guagnano in provincia di Lecce, probabile luogo d’origine del/dei capostipiti.
GUAGLIANONE; è un accrescitivo del precedente (col quale condivide le origini) ed è riferito probabilmente alla corporatura del capostipite.
GUALAGNA, dovrebbe derivare, direttamente o attraverso varie forme ipocoristiche, dal nome medioevale germanico Walhari, composto dai termini wal, estraneo, straniero ed hari, esercito o più probabilmente dal nome longobardo Guala, originato dal termine medioevale germanico wahhal, vigile, desto, sveglio.
GUARAGNA; potrebbe derivare da una distorsione del nome Grawo o Gairovaldo da Warhard, dal germanico war(an) «proteggere» e da hardhu «forte, potente», da cui il significato «forte nel proteggere». Potrebbe anche derivare dal nome Guaranus di cui abbiamo un esempio in un atto del 1210 a Messina; “.sicut apertius idem Mattheus per suum instrumentum dinoscitur concessisse, domum etiam, quam idem Mattheus contulit in flumine Friggido, cum oliveto de Guarano, quod ipse cum …. uxore sua eidem monasterio donavit..”.
IANNITELLI; deriva dal diminutivo del dialettale Janni, a sua volta variante del nome Giovanni.
IANNITELLO, è una variazione del precedente col quale condivide le origini.
IANNUZZI, è tipicamente campano e del cosentino; deriva da modificazioni dialettali del nome Giovanni.
Ricerche d’archivio dicono che il cognome deriva dalla forma cognominale Iannuzzo, quale variante della forma dialettale Ianni, derivata a sua volta dal nome Giovanni, trasformatasi in Iannuzzi tra 1800 e 1900, ma ancora esistente, per alcuni rami, nella forma Iannuzzo. Il cognome “campano” proviene dalla provincia di Avellino (zona di Pietrastornina e dintorni) e dal Salernitano (Piana del Sele). I due rami sembrerebbero appartenere ad un unico ceppo proveniente dalla vicina Puglia, dove, con ogni probabilità, i Iannuzzi e i Iannuzzo “campani”, discendono da due fratelli emigrati nel 1600 dalla Puglia, per motivi ancora poco chiari e datisi all’attività agricola in zone del salernitano e dell’avellinese, dove si stanziarono. Altri ceppi consistenti sono oggi presenti in Puglia e in Calabria, ma non vi è certezza nello stabilire correlazioni fra essi. Emigrate dall’Italia, molte famiglie Iannuzzi e Iannuzzo, hanno modificato il cognome in Januzzi/Jannuzzi oppure in Yannuzzi/Yanuzzi.
IANNUZZO, Iannuzzo sembrerebbe specifico di Fontanarosa (AV). Per origini, storia e diffusione, vedi il precedente cognome Iannuzzi.
IERACE; è diffuso a macchie in Piemonte, Lombardia, Lazio e Calabria centrale ma rimane comunque cognome tipico calabrese. Dovrebbe derivare dall’italianizzazione del cognome greco Gerakis, dal termine “ieràki”, sparviero. Tracce di questa cognominizzazione si hanno nella seconda metà del 1600 a Bovalino (RC) con il notaio Horatius Ranerius de Gerace. Possibile anche la derivazione da toponimi calabresi perché potrebbe originare da una antica deformazione del toponimo Gerace (oggi Locri).
IOZZI, ha ceppi nel senese, nel romano, frusinate e latinense, uno nel napoletano, uno nel foggiano ed uno in Calabria (cosentino, crotonese e catanzarese). Il cognome dovrebbe derivare, direttamente o tramite alterazioni di vari tipi, da forme ipocoristiche di nomi come Giglio, Giulio, Mario o altri simili. Dal nome Giglio, ad esempio, si avrebbe dapprima Gigliozzo e poi per aferesi Iozzo, con tutte le possibili varianti.
LA PIETRA, o LAPIETRA; potrebbe derivare da toponimi quali Pietra de Giorgi (PV), Pietra Marazzi (AL), Silvano Pietra (PV) Pietramala (FI). Diffuso a macchie in tutta l’Italia ha maggiore concentrazione nel centronord e nel napoletano. Derivano dal cognomen latino Petrus, Petra (forma latina, maschile e femminile, del nome Pietro), esempio di questo uso si ha nel Codice Diplomatico della Lombardia medievale dove all’anno 1153 si legge: “…Carta quam fecerunt Lanfrancus filius quondam Petri de Garbaniate et Tutabella iugales...”. Altre tracce sempre in Lombardia, in un atto del 1531, dove si legge; “...Pedrotus et Guarnerius fratres filii quondam Bertrami Petri de Isepo...”.
LA REGINA, un nucleo importante è del cosentino, ai confini con la Basilicata ed un altro nel salernitano. Dovrebbe derivare dal toponimo Regina (CS), ma non è da escludere una derivazione dal cognomen latino Reginus, Regina.
LA VALLE o LAVALLE, è diffuso a macchia di leopardo un pò in tutta l’Italia peninsulare. La Valle ha ceppi nel Lazio centromeridionale, nel potentino, nel cosentino ed in Sicilia. Lavalle ha ceppi nel Lazio centromeridionale, tra il barese e la Basilicata e nell’ennese. Dette cognimizzazioni dovrebbero derivare da nomi di località contenenti il vocabolo “valle”, che in Italia sono presenti ovunque.
LEANZA; ha un nucleo importante in Sicilia, ad Adrano, Catania, Bronte, Paternò e Biancavilla. Inoltre ha un ceppo nel Salento (Scorrano e Maglie (LE), un ceppo a Casalnuovo di Napoli e ceppi probabilmente secondari a Roma e Milano. Potrebbero derivare da un soprannome o da un nome augurale quale Alleanza, che starebbe ad indicare colui che ha portato in dote un importante appoggio. Secondo alcuni invece si tratterebbe di matronimici derivati da una deformazione dell’aferesi del nome femminile medioevale “Allegrantia” (Allegranza), di cui abbiamo un esempio in una Carta vendicionis dell’anno 1159 redatta in Vimercate (MI): “Anno dominice incarnationis milleximo centeximo quinquageximo nono, mense marcii, indicione septima. Constat me Alegrantiam relictam quondam Micherii qui dicebatur de Magrello de loco Vicomercato…”.
LIFRIERI, dovrebbe derivare da una modificazione aferetica del nome medioevale di origine germanica Galifridus, o Galifredus, di cui abbiamo un esempio in un testamento dell’anno 1277: “…Omnibus Christi fidelibus ad quos presens scriptum pervenerit, Galifridus de Thorp, salutem”.
LOCCASO o L’OCCASO; raro; è presente solo in due comuni nel Lazio. Potrebbe derivare dai termini spagnoli, “occaso”, ammattito da “loco”, matto oppure da “locutor”, annunciatore, banditore.
LONGO; è largamente diffuso in tutt’Italia. Dovrebbero derivare da variazioni di forme patronimiche e da ipocoristici del nome medioevale Longus, di cui abbiamo un esempio nella Vita di Ubertino da Carrara scritta dal Vergerio nel 1300: “…Longettus erat hereditarius servus, et semper una nutritus..”. Di questo tipo di cognominizzazione troviamo un esempio nel Codice Diplomatico della Lombardia medievale nell’anno 1172 a Milano; “..Et ad hanc previ-dendam causam interfuerunt duo estimatores, scilicet Albertus Longus et Iohannes Crozorinus qui estimaverunt hanc commu-tacionem proficuum esse ecclesie…”. In alcuni casi potrebbero pure derivare da soprannomi legati al vocabolo “lungo” e probabilmente condizionati dall’altezza e dalla magrezza del capostipite.
MADORMO; piuttosto raro, ha piccoli nuclei in Piemonte, Lombardia,Toscana, Puglia e Calabria. Potrebbe derivare da una corruzione dialettale del termine latino “ulmus”, olmo, ma anche dalla modificazione dialettale del nome Odorico.
MAGNO, è abbastanza diffuso in tutto il sud ed ha diverse origini, che si riconducono alla derivazione, anche tramite forme ipocoristiche, dal cognome latino “Magnus”, o direttamente o attraverso toponimi correlati con questo nome. In altri casi discende da soprannomi collegati con il vocabolo “magno”, grande.
MAISTO, tipico cognome campano, radicato della zona che comprende il casertano ed il napoletano; deriva da un soprannome dialettale con il significato di maestro artigiano.
MALFONE; molto raro, ha piccoli ceppi in Lombarda, Veneto, Emilia e Calabria. Alcuni lo danno specifico della Sicilia orientale e lo fanno derivare dal toponimo Malfa (ME). Potrebbe anche essere una corruzione dialettale dell’unione dei termini spagnoli, “malo”, cattivo, brutto e “follon”, pigro furfante o “follar”, scopare, fottere, con riferimento a caratteristiche psico-fisico-somatiche del capostipite.
MALIZIA; diffuso a macchia di leopardo nel centrosud, dovrebbe derivare dal nome medioevale “Malitia” di cui abbiamo un esempio in una lapide del 1500; “…huius ecclesiae S. Mariae de la Matina – sub. rev. patre et dom. Malitia de Gesualdo – episcopo Rapolliano et Canosia…”. Secondo il Rohlfs, proviene da un antico soprannome, “malicia”, che significava “persona cattiva”.
MANCINI, diffusissimo in tutta l’Italia peninsulare, con massima concentrazione nella fascia centrale (Campania e Puglia). Dovrebbe derivare, direttamente o tramite ipocoristici, dal cognomen latino Mancinus citato da Tito Livio che, in Ab Urbe Condita, nelle Periochae, cita il console Hostilius Mancinus. E’ anche possibile una derivazione da un soprannome originato dalla caratteristica del o della capostipite di essere mancini, ma non si può escludere una possibile derivazione da uno dei tanti toponimi Mancini o Mancino presenti qua e là per l’Italia.
MANDA, sia Manda, che Mandi e Mando, sono assolutamente rarissimi e quasi scomparsi. Potrebbero derivare dall’aferesi del cognomen latino Amandus o del nome franco germanico Armand.
MANTA, ha un ceppo a Napoli, uno a Potenza, uno molto consistente nel leccese ed uno in Sicilia. Potrebbe derivare da un soprannome grecanico originato dal termine greco antico “manteia”, oracolo, divinazione, predizione, forse ad indicare nel capostipite una specie di indovino.
MARADEI, ha un piccolo ceppo al confine fra potentino e cosentino, soprattutto a Mormanno, Morano Calabro, Castrovillari, Cassano allo Ionio, Oriolo, Altomonte e Cosenza. Dovrebbe derivare da un nome medioevale col quale augurare ai propri figli di professare l’amore in Dio.
MARASCO, è tipico del sud con ceppi, nelle Puglie, in Calabria ed in Campania. Potrebbe derivare dal termine marasca (o amarasca), ciliegia selvatica, forse riferito a caratteristiche della località od anche a luoghi con questo nome. Secondo G. Rohlfs, il cognome Marasco verrebbe dal termine salentino “marascu”, tasso barbasso, (vàrivaschà, in sandonatese).
MARITATI, è tipico del Salento (Nardò, Lecce, Alezio, Copertino, Ugento) con ceppi a Cetraro, San Marco Argentano, Cassano allo Ionio e Malvito e Catania. Potrebbe derivare da soprannomi originati dal termine dialettale centromeridionale maritate, mescolate con qualcosa di più nobile o saporito, forse ad indicare, nei capostipiti, persone che, sposandosi, si fossero elevate di rango inserendosi in una classe sociale più elevata.
MARRA, è molto diffuso in tutto il sud peninsulare. Dovrebbe derivare da nomi di località individuabili dalla presenza di una marra, mucchio di pietre o monticello di detriti. Questa cognominizzazione risale almeno alla seconda metà del 1200, come possiamo vedere in questo atto del 1296: “Nicolao de Marra, filio quondam Risonis de Marra de Barolo, et Adeliciae de Tricarico dominae castri Serini asserenti tenere duas tertias partes casalis S.Agathes in territorio dicti castri, ex donatione facta a dicta matre sua cum consensu Iohannis de Marra militis primogeniti fratris sui, interveniente Regio assensu, assecuratio vassallorum.”
MARTINO, è presente soprattutto al sud e dovrebbe derivare dal cognomen latino Martinus.
MARTUCCI, è tipico del centrosud e dovrebbe derivare dal nome medioevale Martucius, di cui abbiamo un esempio in un atto del 1280, contenuto nei Registri della Cancelleria Angioina di Napoli: “..Item petia de terra una in loco ubi dicitur Ad Nucellam, quam tenet Martucius de Cesa que est iuxta terram mag. Iohannis Barberii…”.
MARTUCCIO; probabile variante del precedente, sembra specifico di Colle Sannita (BN). Dovrebbe derivare dal nome medioevale Martucius, di cui abbiamo fornito un esempio nel precedente.
MARZANO, diffuso in tutto il sud peninsulare, dovrebbe derivare da modificazioni dialettali del nome Marcianus. In proposito, richiamiamo alla memoria Marcianus, imperatore d’Oriente dal 450 al 457 d.C. Il cognome apparteneva anche ad una nobile famiglia angioina, della quale troviamo, nel 1313, Tommaso Marzano conte di Squillace (CZ).
MAURELLI, è discretamente raro, pur essendo presente nella penisola a macchia di leopardo. Dovrebbe derivare, direttamente o tramite varie forme ipocoristiche, dal nome bizantino Maurus o dal nome germanico Maur o dal franco Mauri, ma non possiamo escludere una derivazione dal nome latino Maurus e dal suo diminutivo Maurinus.
MAURO, è presente in tutt’Italia. Dovrebbe derivare, direttamente o tramite varie forme ipocoristiche, dal nome bizantino Maurus o dal nome germanico Maur o dal franco Mauri, anche se non possiamo escludere una derivazione dal nome latino Maurus e dal suo diminutivo Maurinu.
MIRABELLI; è tipicamente calabrese. Dovrebbe derivare dal nome medioevale Mirabellus di cui abbiamo un esempio a Monopoli (BA) nel 1200 con un certo notar Mirabellus. Tracce di questa cognominizzazione le troviamo a Savona dove Dominicus Nannius Mirabellus è arciprete della locale cattedrale dal 1500 al 1520.
MIRAGLIA, è molto diffuso nel centrosud. Ha un nucleo principale in Sicilia, ma si individuano vari ceppi in tutto il sud (casertano, napoletano, barese e tarentino, Basilicata e nel cosentino). Dovrebbe derivare da un soprannome originato dal termine arcaico miraglia o miraglio, specchio, che in alcuni casi e soprattutto al nord, deriva dalla voce provenzale mirahls, specchio, forse ad identificare nei capostipiti degli artigiani dediti alla lavorazione del vetro ed alla produzione di specchi.
MONACO, assolutamente panitaliano, anche se molto più diffuso al centro sud; deriva da un soprannome legato al fatto di essere originariamente vicini ad un monastero o alle sue dipendenze
MORANELLI, diminutivo di Morano, cognome che potrebbe derivare da toponimi come Morano Calabro; in qualche caso si può trattare di un’italianizzazione del nome francese Morand, ma potrebbe derivare dal nome medioevale italiano Morus o da Moratus, come pure da un soprannome legato al colore dei capelli o della carnagione
MORANO, decisamente più diffuso del precedente, ha ceppi in Piemonte, a Genova, nel viterbese, nel romano, nel napoletano, nell’avellinese, nel potentino e materano, in Puglia e soprattutto in Calabria, nel reggino in particolare. Potrebbe derivare da toponimi come Morano nel modenese, Morano sul Po nell’alessandrino e Morano Calabro nel cosentino. Può trattarsi di un’italianizzazione del nome francese Morand e potrebbe derivare dal nome medioevale italiano Morus o da Moratus, come pure da un soprannome legato al colore dei capelli o della carnagione.
MUZZALUPO; raro e tipico del centro sud. Potrebbe derivare dal cognomen latino Mutius e starebbe ad indicare l’appartenenza alla famiglia dei Muzii. Il cognome del capostipite proverrebbe dalla fusione del cognomen latino con “Lupo”, nome in uso nell’alto medioevo (es. Lupo Protospata). Versosimilmente origina da una forma dialettale oppure da fusione od errata trascrizione di Muzio Lupo, da cui si è ottenuto il patronimico Muzzalupo. In alternativa alla radice latina, la radice Muzza potrebbe essere una delle forme aferetico-dialettali del saraceno Mustapha, al quale s’è aggiunto il nome Lupo.
NACCARATO, molto diffuso, ha presenze nel napoletano, un piccolo ceppo nel leccese, nel reggino e nell’agrigentino, ma il nucleo più consistente è nel cosentino (Cosenza, Lago, Amantea, Fiumefreddo Bruzio, Paterno Calabro, Rende, Mendicino, Paola, Dipignano, Belsito, Scalea, Castrolibero e San Pietro in Amantea). Dovrebbe derivare, direttamente o tramite modificazioni ipocoristiche, dal termine medievale naccaro, suonatore di tamburo, a sua volta derivato dall’arabo nakara, strumento incavato o dall’ebraico nahaq, far baccano.
NAPPA, potrebbe derivare dal nome medievale Napo, alla cui base c’è il termine germanico knapp, con significato di tazza, bicchiere o coppa. Accettando detta ipotesi, l’origine del cognome sarebbe da attribuire ad attività legata alla produzione ed al commercio di tali manufatti, svolta in epoche remote dai vari capostipiti. Il termine nappa può indicare un ornamento di un cappello costituito da più fili di seta, un ciuffo di peli all’estremità della coda di parecchi quadrupedi, il bocciuolo bucherellato di un innaffiatoio, una pianta da giardino, un ciondolo, un fiocco, un pennacchio o infine una persona con il naso grosso.
NOTARISTEFANO, è tipico pugliese, in particolare della zona di Taranto (Massafra e Mottola) e dovrebbe derivare dal nome del capostipite, il notaro Stefano.
OCCHIUZZI, ha un ceppo nell’aquilano, ad Avezzano e Tagliacoz-zo, uno a Roma, uno a Napoli ed a Vibonati nel salernitano, ed uno, il più consistente, nel cosentino a Cetraro, molto grosso, con presenze significative anche ad Acquappesa, Guardia Pie-montese, Roggiano Gravina, Cassano allo Ionio e San Marco Argentano, sempre nel cosentino,
OTTATO, potrebbero derivare, in alcuni casi, dal nome della Gens Octavia, il cui esponente più illustre fu sicuramente l’imperatore Augusto, ma, molto più probabilmente, dovrebbero derivare dalla consuetudine, già presente in epoca romana, di attribuire ai figli il numero ordinale della loro comparsa in famiglia, quindi l’ottavo figlio già in epoca precristiana veniva spesso chiamato Octavius (Ottavo) da cui probabilmente Ottato (figlio di Ottavio).
PACENZA; può derivare, direttamente o tramite accrescitivi, dal nome augurale medioevale Pace, o dal cognome base Paci (derivato da Pace, dal latino pax, pacis, dato a un figlio con significato augurale) ma è pure possibile una derivazione dal nome latino “Paciaecus” di cui abbiamo esempio in una lettera di Cicerone ad Attico.
PALOMBO; è cognome tipico laziale, con ceppi in Abruzzo e Molise. Derivano tutti da soprannomi legati a diminutivi o vezzeggiativi del dialettale “palombo”, colombo, usato anche come nome, ciò desunto da uno scritto del 1300 a Pescara.
PANCARO o PANGARO, ha un ceppo nel basso potentino, a Francavilla in Sinni e San Severino Lucano ed un ceppo a Rose nel cosentino. Dovrebbero derivare dal nome e cognome, sia tracio che turco, “Pangarus”, “Pangaros”. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo a Frascineto nel 1600.
PANEBIANCO, è molto diffuso al sud, in particolare in Sicilia, Calabria e Puglia. Dovrebbe derivare dal nome tardo medioevale Panis, pane, cui l’aggiunta dell’aggetivo “bianco”, attribuisce un maggior valore di bontà, rientrando tutti nella grande famiglia dei nomi augurali attribuiti ai capostipiti.
PANDOLFO o PANDOLFI, è diffuso in tutt’Italia ed ha ceppi importanti in Lombardia, nelle Marche, nell’alta Toscana, nel Lazio, nel napoletano e nel cosentino. Deriva dal nome longobardo Pandulf latinizzato in Pandulfus, di cui si hanno tracce ad esempio nel 900 come si legge in Chronicon Salernitanum; “Dum ipso Landulfus prefuisset Samnitis annos…. ab hac luce subtractus est”, o nel 1131 quando nel Codice Diplomatico della Lombardia medievale si legge: “ Nos in Dei nomine Sigeza, relicta quondam Orrici qui fuit dictus Pandulfus, de civitate Mediolani, et Albertus et Orricus germani, “ e nel 1210 nella Ryccardi de Sancto Germano Chronica excerpta de Landulfo de Aquino, dove si legge; “ Hic cum gente ipsius Ottonis ivit ad debellan-dum civitatem Aquini, in qua Landulfus, Thomas, Pandul-fus et Robbertus domini Aquini, qui regis fidem servabant, se receperant cum gente sua; et cum non prevaleret in eam, viribus resistentibus predictorum, confusus et non sine dampno recessit …”. Esempio di questa cognominizzazione si hanno già alla fine del 1500 a Segni (Roma) con un tal Cesare Pandolfi citato in un atto dall’Ufficio del Vicario di Roma in qualità di esecutore testamentario.
PASCALE, tipico del sud, Campania soprattutto, con ceppi significativi anche in Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Dovrebbe derivare, dal nome tardo latino Pasqualis, italianizzato in Pasquale, oppure da forme dialettali come “Pascale”, nome normalmente attribuito ai bambini nati durante il periodo delle feste di Pasqua.
PERNULLO; (e sue derivazioni). Diffuso nel sud Italia, potrebbe derivare o dal nome tardo latino Pernus, di cui abbiamo un esempio nel Vitae germanorum Theologorum; “ Promulgara sententia Pernus qui dam multa in Bucerum dixit quo perorante valvae templi versibus, in reos salse scriptis, fuerunt oppletae…”, oppure dovrebbe indicare il mestiere dei capostipiti, probabilmente gente che lavorava le perne (conchiglie) producendo i soprammobili di stile marino, caratteristici nelle comunità rivierasche siciliane.
PERRONE; è molto diffuso in tutt’Italia. Dovrebbe derivare dal nome medioevale Perrone o Perone o da ipocoristici del nome Pietro, di cui abbiamo un esempio a Trento nel 1200 con il canonico Perrone della locale cattedrale. In alcuni casi può derivare da toponimi come Perrone (TA). Tracce di questa cognominizzazione le troviamo a Reggio Calabria nel 1500 con il notaio Perrone, a Torchiarolo (BR) nella seconda metà dello stesso secolo con la “honesta Filomena Perrone”, citata in un atto di successione, nel 1600 ed infine un Monsignor Perrone, Vescovo di Nicastro (CZ).
PEZZANO è panitaliano, dal personale latino Pettius o dal gentilizio latino, “Peccius”. Altre interpetrazione lo farebbe derivare o da una forma aferetica del termine ampezzano oppure dai toponimi Pezzano, podere nel territorio di Roccalbegna (GR), o Pezzano (SA), frazione di San Cipriano Picentino od altro simile in provincia di Venezia. Una eventuale origine pugliese verrebbe dalla forma base Pezza, a sua volta cognominizzazione del gentilizio latino Peccius-Pettius. Detto cognome, nella stragrande maggioranza dei casi, deriva direttamente o attraverso forme ipocoristiche, da alterazioni di forme aferetiche di nomi medioevali come Opezzo, a sua volta derivato dal nome mediovale germanico Obizo, Obizonis.
PIROLI, ha un ceppo nel milanese, uno nel piacentino e parmense, ed uno laziale, tra viterbese, romano e frusinate ma soprattutto, latinense ed aquilano. Dovrebbe derivare da soprannomi legati al vocabolo tardo latino pirolus (albero di pere).
PIZZO, sembra essere tipico siciliano, con un possibile ceppo nel Veneto. Dovrebbe derivare dall’aferesi del nome medievale italiano Opizzo ed in alcuni casi, derivare da nomi di località
PIZZUTO, sembra avere, oltre al nucleo principale nel Lazio, anche un ceppo tra napoletano e salernitano ed uno nel cosentino. Pizzuto ha anche un ceppo nel Molise, che dovrebbe derivare dal toponimo Castelpizzuto (IS). E’ presente anche in Puglia ed in Sicilia. Il cognome dovrebbe derivare da nomi di località legati al vocabolo pizzo (cima) e starebbe ad indicare la provenienza da una località montana, come ad esempio Monte Pizzuto nel reatino.
PONZO, assolutamente raro. Parrebbe veneto e dovrebbe derivare dal nomen latino Pontius, reso famoso da Ponzio Pilato. In un atto risalente al 1007, scritto ad Avezzano (AQ), si legge: “…Hic etiam Pontius unacum Berardo filio manifestaverunt et renuntiaverunt nobis in placido Marsorum comitum totam pertinentiam de Opi et Peraccle in territorio Marsicano…”. Tracce di questa cognominizzazione si trovano a Siena nel 1200 con “madonna Dietaviva Ponzi”, citata in un atto redatto dal notaio Ildobrandino il 20 aprile 1228. A Parma, con Pietro Ponzio, maestro cantore di cappella nella Cattedrale dal 1592 al 1595, mentre in un atto risalente al 1600, conservato nella Curia Arcivescovile di Napoli, si trova un certo fra Dionisio Ponzio citato in occasione del giudizio a Tommaso Campanella.
PRATO, è tipico ligure e piemontese, con ceppi anche nel Salento, in Sicilia, in Calabria ed in Campania. Deriva da nomi di località e da toponimi composti con il termine prato, nolto diffusi in Italia.
PRIOLI,è tipico di Cattolica (FC), Pesaro, Gradara, Gabicce e Riccione, con presenze anche in Veneto. L’origine del cognome viene fatta discendere da Silvestro Priolus, capostipite dei nobili Priuli, che attorno all’anno 1000 giunse a Venezia dall’Ungheria, dando luogo alla dinastia nobiliare dei Priuli che, agli inizi del 1300, venne inserita nel patriziato della Repubblica Veneta e successivamente diede a Venezia 3 Dogi, svariati Procuratori della Serenissima e 5 Cardinali. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo anche a Bergamo in un atto del 1510; “Die sabbati 12 octobris suprascripti super regio, sono tubæ, citati sunt Bernardus Bollanus, Iohannes Baptista Priolus, nobiles Veneti…”.
PRIOLO, ha un ceppo nel reggino (Santo Stefano in Aspromonte, Brancaleone, Gioia Tauro, Villa San Giovanni) nel cosentino (Rende) ed uno siciliano (principale a Palermo ed in provincia a Ciminna e Caccamo, a Catania, e a Favara, Palma di Montechiaro e Naro nell’agrigentino). Dovrebbe derivare dal vocabolo dialettale priolu (priore) ad indicare una posizione di rilievo del capostipite o una vera e propria discendenza dalla famiglia di un priore. Esiste anche un ceppo veneto, confermato dalla presenza di un Gerolamo Priolo, doge di Venezia, nella seconda metà del 1500, assolutamente separato da queli meridionali e che dovrebbe derivare da una forma contratta di un ipocoristico del nome Petrus, da Petrus, Petriolus e per contrazione Priolus.
PUCCIANI, potrebbe essere una delle tante derivazioni di Pucci, (diffuse in tutta l’Italia peninsulare), cognome derivato, direttamente o tramite forme ipocoristiche o patronimiche, dal nome medioevale Puccius, di cui abbiamo un esempio a Pisa nella seconda metà del 1200 con Puccius de Laiano citato fra i maggiorenti anziani della città nel 1289. Tracce di questa cognominizzazione le troviamo a Firenze nel 1600 con “..Franciscus ille Puccius erat Sæcularis : in hæresim eam tandem incidit, ut crederet et ubique prædicaret se esse missum a Deo ad Reformatio-nem ecclesiæ ...”. Da una famiglia Pucci di Firenze, storici alleati dei Medici, discenderebbe da uno Jacopuccio vissuto nel 1200, dal quale deriverebbe il nome Puccio, e quindi la cognominizzazione Pucci. Alcuni Pucci toscani si ritiene si siano trasferiti al sud, a Napoli, e avrebbero quindi contribuito alla diffusione del cognome in particolare per la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Esiste anche un’altra ipotesi, la derivazione attraverso un adattamento fonetico e ortografico da un cognome arbëreshë, Puqi dalla radice Puq (per approfondimenti vedi Cucci).
QUARTA, è panitaliano, ma il nucleo principale è pugliese in particolare nel leccese e non grosse concentrazioni nel brindisino, nel tarentino e nel barese. Un grosso ceppo è anche a Roma. Potrebbe derivare dal nomen latino Quartus, Quarta, come pure dal nome italiano Quarto, attribuito non raramente al quarto figlio. In altri casi è possibile che provenga da toponimi o nomi di località contenenti la radice Quart, abbastanza diffusa in Italia (nel napoletano, ad esempio, è facile che derivino da Quarto, mentre nel veneziano da Quarto d’Altino).
RENDA; tipico meridionale, ha un nucleo in Sicilia ed un ceppo in Calabria. Dovrebbe derivare dall’aferesi di una variazione dialettale del nome greco Layrentios (Lorenzo).
RENDE, specifico del cosentino, deriva dal toponimo Rende (CS).
RICCA, è molto diffuso in Campania, Calabria e Sicilia, con presenze a Roma, in Piemonte, in Liguria e Lombardia. Dovrebbe derivare, direttamente, attraverso ipocoristici o modificazioni accrescitive, dal nome medioevale propiziatorio Riccus, Ricca dei quali si hanno tracce, ad esempio, a Roma del IX° secolo, con un Caius Riccus e più tardi, in un atto redatto in Pisa nel 1228, nel quale vengono citati un Riccus de Corvaria ed un Riccus tabernarius. Questi cognomi possono pure derivare, a volte, dall’aferesi di nomi come Ulderico, Federico, o simili.
RISCIA, rarissimo; potrebbe derivare dal dialettale di un soprannome basato sul termine arabo “rizq” (tassa), ma più probabilmente si dovrebbe trattare di un cognome di fantasia attribuito da un funzionario borbonico ad un trovatello. Potrebbe anche derivare da una forma aferetica di nomi come Gaiderisius, Oderisius, Charisius, od altri simili.
ROSIGNUOLO, o RISCIGNUOLO; rarissimo, deriva del termine arcaico rosignuolo, usignolo e forse è stato usato come soprannome, dalla bravura nel canto del capostipite, dal suo modo di fischiare o proprio dal fatto di allevare quegli uccelli canterini.
ROTONDARO; pare che nessuna relazione possa collegare il cognome ad attività di produzione di manufatti di forma circolare o sferica. E’ più probabile che il capostipite fosse originario del centro calabrese di Rotonda.
RUSSO, molto diffuso in tutt’Italia. Deriva da soprannomi dialettali legati alla caratteristica del colore dei capelli o della carnagione del capostipite. Tracce di questo cognome si hanno già nel 1200; in un atto del 7 febbraio 1279, redatto in Lunigiana viene citato un giudice Russo con un figlio notaio. Vi si legge infatti “...bona fide et sine fraude in omnibus et per omnia, pres. supr. iudice, coram dom. Russo iudice et Francischino not.° eius filio in curia...”. Nel 1400 a Napoli troviamo un notaio Francesco Russo; nel XVI° secolo, in Sicilia, a Militello si trova un tal frate Bernardo Russo, erudito francescano. Sull’origine del cognome abbiamo per lo meno tre ipotesi, che ne giustificano la diffusione nell’intero paese (Russo è il secondo cognome più diffuso d’Italia). L’ipotesi più accreditata lo fa derivare dal soprannome o nome medievale Russo che, assieme alla variante Rosso, allude probabilmente al colore dei capelli. Una seconda ipotesi fa nascere il termine da un adattamento del germanico Rotz o Rutz, composto dalla radice hrod, gloria, fama e può essere tradotto come glorioso, famoso. L’ultima ipotesi non esclude che talvolta i cognomi Russo e simili derivino dall’etnico della Russia, usato sia come soprannome che come nome di persona, sul modello dei tanti cognomi d’origine etnica, quali Albanese, Greco, Tedesco, Turco, etc.
SABBATINO; molto raro è radicato nel napoletano. Dovrebbe originare dal nome medioevale Sabatus o Sabbatus e dal suo derivato Sabbatanus o Sabbatinus o da modificazioni di vezzeggiativi del medioevale Sabatus, probabilmente attribuito a figli nati nel giorno di sabato. Secondo altri studiosi, il cognome potrebbe derivare dal nome della Gens Sabatina. Nel IV° secolo a.C., i Romani, sconfitti gli estruschi Veientai, si impossessarono dei loro territori, creando nuove colonie e nuove tribù (le gens rustiche). Tra queste c’era la Gens Sabatina, dall’omonimo lago Sabatinus, ora Bracciano, a nord di Roma, e dalla città di Sabate, ora Anguillara Sabazia, prospiciente il lago stesso. In Emilia questi cognomi sono sporadicamente diffusi anche tra gli israeliti, derivando dal nome proprio Sabatino, a sua volta derivato dal nome ebraico Shabetai (Saturno in ebraico, pianeta i cui influssi sono studiati nella cabala). Sono cognomi di origine sefardita.
SALVO, è specifico siciliano e dovrebbe derivare, direttamente o tramite ipocoristici o accrescitivi, dalla Gens Salvia, o dal cognome medioevale Salvus, o dal nomen Salvius, di cui abbiamo un esempio nell’Epitome De Caesaribus: “…Salvius Otho, splendidis ortus maioribus ex oppido Ferentano, imperavit menses tres, vita omni turpis, maxime adulescentia…”,
SAMMARCO; sembra avere ceppi nel palermitano, in Puglia, in Campania, in Calabria. Dovrebbe derivare da toponimi come Cellino S. Marco (BR), San Marco di Locorotondo (BA), San Marco (SA), i vari San Marco in provincia di Caserta e San Marco Argentano (CS)
SCARAMUZZA; è molto diffuso nel veneziano, nel goriziano, con un piccolo ceppo nel crotonese, soprattutto ad Isola Capo Rizzuto, ed a Roma. Il cognome (ed i suoi consimili) dovrebbero derivare, direttamente o tramite ipocoristici, dal nome medioevale Scaramuccia, che Tiberio Fiorilli, attore teatrale italiano della commedia dell’arte nato a Napoli nel 1608, trasformò nel francese Scaramouche, nome da lui attribuito ad una maschera degli inizi del 1600. Il personaggio è un Capitano donnaiolo e smargiasso, che ebbe facilmente un folto gruppo di estimatori, tanto da far si che molti di essi attribuirono ai figli, nomi italianizzati in Scaramozza, Scaramuzza ecc. Il nome però veniva già utilizzato almeno un secolo prima, come dimostra l’esistenza del vescovo comasco Scaramuzza Trivulzio vissuto agli inizi del 1500.
SGAMBATO, è specifico nell’area casertano-napoletana. Dovrebbe derivare da soprannomi originati da caratteristiche fisiche dei capostipiti, sgambato è un termine ora in disuso che si riferirebbe alla privazione delle gambe. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo, fin dal 1600 almeno, con il medico napoletano Johannes Sgambatus.
SIMEONE, ha un nucleo nel napoletano ed uno in Puglia e deriva, direttamente o tramite ipocoristici, dal nome biblico Simone. Tracce di queste cognominizzazioni le troviamo ad esempio alla fine del 1500 a Roma con il cardinale Hieronymus Simoncellus mentre nell’elenco degli scolari dell’Università di Perugia compaiono Octavius Simoncellus abruzzese e un certo Petrus Simon Simoncellus marchigiano.
SIRIMARCO; è molto raro. Come per altri cognomi composti, derivano soprattutto dal nome latino Siro o dalla forma indiretta Sirone (Siro, Sironis) di cui abbiamo un esempio con il famoso filosofo epicureo della scuola di Napoli, della quale fu discepolo anche Virgilio. Il cognome deriva dalla giunzione del latino Siri e del nome comune Marco, che congiunti hanno generato il cognome in esame.
SORITO, dovrebbe derivare dal cognomen latino Sorinus (una forma ipocoristica aferetica del cognomen latino Censor) o dal nome medioevale Sorisius, particolarmente diffuso nella penisola iberica e probabilmente giunto in Italia con gli spagnoli.
SPAGARRO; troviamo tracce di questo cognome (e derivati o simili) nel Monferrato astigiano fin dalla seconda metà del 1600. Queste cognomizzazioni dovrebbero derivare da forme ipocoristiche del termine arcaico spagaro (filatore di spaghi o funicelle sottili), originato probabilmente dalla professione dei capostipiti.
SPAGNUOLO, è diffuso in tutto il sud. Dovrebbe derivare, direttamente o tramite alterazioni dialettali, dal nome della Spagna o dal suo etnico spagnolo e starebbero ad indicare o un’origine spagnola, o comunque un rapporto con la Spagna. In alcuni casi potrebbero indicare una provenienza diretta da quella nazione, come ad esempio avvenne in occasione della cacciata dalla Spagna degli ebrei sefarditi nel 1492.
SPARANO, il cognome dovrebbe derivare dal soprannome medioevale (poi divenuto nome) “sparatane”, probabilmente attribuito ad un fornaio. Abbiamo un esempio di quest’uso in una registrazione del 1443, relativa al “granum mutuatum” nel perugino. Potrebbe derivare da forme aferetiche di accrescitivi del nome Gaspare, anche attraverso modificazioni dialettali, od anche da derivati del verbo greco “spèrno”, seminare.
SPINGOLA; potrebbe essere una forma alterata del cognome Spicola che, molto raro, sembrerebbe siciliano, con ceppi a San Biagio Platani e Ribera nell’agrigentino e Palermo. Dovrebbe derivare dal nome, o soprannome, medioevale “Spicula”, pungiglione, spina, probabilmente attribuito al capostipite.
STRATICO’, assolutamente raro, è proprio dell’area cosentina ed in particolare di Castrovillari e Lungro. D’origine arbëreshë (più probabilmente greco-albanese), i cognomi Straticò, Stratigò, etc, nascono da diverse italianizzazioni del termine greco stratigòs, generale, comandante dell’esercito. Dal punto di vista storico un esempio è offerto dal poeta e patriota arbëreshë Vincenzo Straticò (Lungro, 1822–1885) noto come Vincenzo Stratigò, il quale, durante il risorgimento fu tra i maggiori protagonisti nella lotta arbëreshë per l’unificazione d’Italia.
TALARICO, dovrebbe essere originario del triangolo con ai vertici Cosenza, Crotone e Catanzaro ma, anche nel milanese parrebbe esserci un ceppo secondario. Pare derivi dall’aferesi del nome ostrogoto Atalarico, ciò perché sotto il regno ostrogoto, la Calabria fu privilegiata ed attraversò un periodo molto florido, il tanto da rendere diffusi nomi propri appartenenti alla tradizione ostrogota.
TARSITANO, è tipico del cosentino (Fagnano Castello, Cosenza, Roggiano Gravina e Pietrafitta) e dovrebbe trattarsi dell’etnico di Tarsia, probabile luogo d’origine dei capostipiti.
TAVOLARO; è cognome raro, tipico del sud, di origine calabo-lucana (area potentino-cosentina), diffuso nelle zone greco-albanesi, ma presente anche a Napoli. Potrebbero derivare da soprannomi originati dal mestiere di falegnami o produttori di tavole ma, molto più probabilmente, derivano dal mestiere di tabularius attribuito al capostipite. In epoca romana i tabulari erano dei liberti con attività di scrivani pubblici e funzioni di convalida di atti di compravendita o di cessioni ereditarie, ciè l’equivalente dei notai d’epoca medioevale. Presso le legioni ed i presidi cittadini, i tabularii rivestivano anche la funzione di ragionieri addetti alla registrazione e contabilizzazione delle imposte. Il cognome si presenta come derivazione-corruzione dialettale originata dal cognome greco “tavoularis”, scrivano.
TIESI, dovrebbero derivare, anche attraverso una forma apocopaica dialettale, dal nome medioevale Tisonis, (mutato in Tiso), di cui abbiamo un esempio in un atto del 1223, dove come testimone compare un certo Tiso de Francha de Vulnico.
TODARO, sembrerebbe specifico del sud Italia, Sicilia soprattutto, ma si individuano nuclei anche al nord, nel Veneto e in Liguria. Il nome nasce da una modificazione del nome latino di origine greca Theodorus, ma deriva dal nome medioevale Todaro, di cui abbiamo traccia ad Avellino nel XII° secolo con l’arcipresbitero di rito greco Todaro del fu Costantino. Tracce di questa cognominizzazione le troviamo, tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500, a Naso (ME), col notaio Pietro Todaro.
TOLESANO o TOLISANO; è caratteristico di Saracena nel cosentino; potrebbe trattarsi di una forma di derivazione etnico-arcaico.
TOSCANO, è proprio del centro sud e dovrebbero derivare, direttamente o tramite forme ipocoristiche, dall’indicatore etnico toscano, riferito a gente originaria di quella regione.
TRICARICO; è presente con nuclei in Puglia e Basilicata e Napoli. Dovrebbe derivare dal toponimo Tricarico (MT) ed è cognominizzazione probabilmente risalente al 1300, periodo in cui la Basilicata è coinvolta nelle lotte di successione al trono di Napoli.
TRINCHI, molto raro, potrebbe avere un’origine nel sud milanese o da Trinchitella in Basilicata, ma non è assolutamente da escludere vi siano altre zone di provenienza.
TROPPELLO; cognome raro con qualche ceppo nel sud Italia. Dovrebbe derivare da nomi o soprannomi originati dal termine greco “tropaion”, trofeo o da un soprannome grecanico basato sul termine greco antico “tropè”, fuga, cambiamento, perforazione.
TROZZI; molto raro, sebbene tracce di queste cognominizzazioni le troviamo gia dal 1300. Ha piccoli ceppi nel varesotto, milanese e bresciano, nel vicino veronese, nel ternano, nel romano, nel napoletano e nel barese. Ha probabilmente origine dal nome germanico Druht o dal suo alterato Trutten. Trozzi potrebbe essere una errata trascrizione del cognome Truzzi, originario questi dell’area lombardo-emiliana. Entrambi dovrebbero derivare dal nome medioevale “Trussus, Trussonis”, di cui abbiamo vari esempi nel Codice Diplomatico della Lombardia medioevale, o anche dalla versione più tarda “Trutius”, di cui abbiamo vari esempi nel 1500.
TRUSCELLI, dovrebbe derivare da un soprannome originato dal vocabolo dialettale trussu (torsolo) legato forse a caratteristiche fisiche del capostipite, oppure derivare dal francese trousse, borsa, ovvero essere un nome legato ad un mestiere.
TURSO; dovrebbe derivare dal latino “Tursinius”, nome di cui abbiamo esempi su varie lapidi relative a legionari romani, dove troviamo tra gli altri un Tursinius Adauctus ed un Tursinius Valentinus. Potrebbe anche avere origini da un soprannome basato sul termine dialettale siciliano “tùsu”, tosato, rasato.
USCAL: più unico che raro nella panoramica sandonatese; è la probabile corruzione dialettale del termine spagnolo “juzgar”, giudicare, assunto a cognome da qualche funzionario iberico o dai suoi eredi ancora presenti in paese nella metà del 1700.
VACCARO, è diffuso in tutto il centro-sud e dovrebbe derivare, direttamente (o da vari tipi di forme ipocoristiche), da soprannomi basati dal mestiere del vaccaro, guardiano di vacche, svolto probabilmente dai capostipiti.
VIGGIANI; sembra specifico del materano e potentino, ma tracce di questo nome si trovano a Firenze, dove nel 1365 il podestà si chiama Vigianus Andree de Monticlo, oppure anche a Napoli nel 1662, col medico e filosofo Vigiano, autore tra l’altro, del “Sanitatis prodromus vitae nuncius rurales lucubrationes pestilentiae tempore”.
VIGGIANO; ha un ceppo nel potentino, ma è presente in tutto l’arco fra Caserta e Matera con estensione nel foggiano; Condivide origini e storia col precedente Viggiani, compresa l’origine nel toponimo Viggiano (PZ), a sua volta derivato dal cognomen latino Vigianus.
VITRANO, è specifico dell’area siciliana palermitana e dovrebbe derivare dal nome dell’antico “Castrum vitranum” (attuale Castelvetrano, nel trapanese), indicando detto centro come probabile luogo d’origine dei capostipiti. Secondo altre ipotesi potrebbe anche derivare da Vetrana, antico nome dell’odierna Avetrana, nel tarantino, ma è pure possibile una derivazione dal nome lartino-medioevale di origine gotogermanica “Vitranius”, nome portato dal vescovo di Treviri in Germania dal 365 al 384, e successivamente da un importante storico medioevale. Non è esclusa la possibile derivazione dalla forma base “Vetere”, dal latino “vetu, veteris”, vecchio
VUONO; potrebbe essere nato da un errore di trascrizione del cognome Buono oppure da una variazione del termine Vono, originato dal greco “bounòs”, altura.
Sviscerati in qualche modo gli aspetti etimologici e statistici, prendiamo ora in esame l’aspetto “storico” del cognome, con occhio particolare alla documentazione dalla quale rilevare l’epoca in cui ne è stato fatto per la prima volta uso e menzione.
A questo scopo sono stati consultati e presi in considerazione alcuni scritti relativi ai cognomi delle famiglie censite nel regno di Napoli a datare dal XIV secolo circa. Da dette pubblicazioni, valendo gli stessi criteri finora seguiti, sono stati estrapolati i cognomi di coloro che, a qualsiasi titolo, possono vantare una residenza, temporanea o stabile nelle terre sandonatesi.
Vale il principio espresso per le altre due tipologie di ricerca, ossia che, in nessuno dei documenti consultati, è stata trovata prova, circa imparentamenti e/o discendenza, fra le famiglie i cui cognomi sono stati oggetto di studio e le omonime sandonatesi. Scopo della ricerca era di fissare una data certa in cui il cognome era stato reso noto ed utilizzato per la prima volta e quel che segue ne è il risultato.
ARENA; su detta famiglia il Mugnos scrive; “fu il primogenitor della famiglia Arena in Sicilia Federico d’Arena, costui passò primieramente d’Aragona in Napoli ai serviggi del re Manfredo e conoscendo abile quel re a maggiori carichi, gli diede primieramente il reggimento della Calabria Citra”. Descrive le discendenze del capostipite, tutte feudatarie di varie terre in Sicilia. Antonio Arena, nel 1447, fu “senatore palermitano”.
BALSAMO; scrive il Mugnos che, nel corso delle guerre di conquista della penisola italica, prima Federico Barbarossa e poi Federico II nel 1145, per annichilire Milano, gia vinta e semidistrutta, “gli tolse le sue principali famiglie.e la Balsamo famiglia nobile di quella città venne in Sicilia sotto il grido militare di Maurizio Balsamo, il quale ebbe dall’Imperatore per stanza la città di Messina ed ivi (secondo Stefano Ancorano) prese per moglie Morella Maniscalco”. I discendenti di Maurizio prosperarono ed ebbero la qualifica di “miles”, titolo di gran stima presso “i regi antichi”. Niccolò ebbe il feudo della Vigna e fu giudice, Giovanni ebbe il feudo della Massaria in territorio di Patti, Francesco acquistò baronia e terra di Pollina. Le annotazioni sui membri di detta famiglia proseguono fino al 1547.
BALSANO; il Mugnos ci dice che detta famiglia ebbe “principio da Clodio Balsano, cavalier tedesco che in Sicilia, militando con l’Imperator Hèrico, vi venne, e fu da questo impiegato al governi, primieramente di Trapani, e dopo di Palermo”. Il Figlio Thomaso dall’imperatore Federico II ebbe la castellania di Catania ed il nipote Giovanni acquistò la castellania di Lentini. Ultimi discendenti citati sono gli eredi di Giovanni, Enzio, Filippo, Pietro, Clodio e Pietro Antonio che “diedero non poco splendore alla famiglia”.
BARONE, la famiglia Barone, per l’Adimari, risulta “numerata fra li cittadini napoletani nel 1275”; Tomaso, nel 1273 risulta signore dell’Amendolaria (Amendolara); Guglielmo è signore di Bitonto nel 1314; Goffredo, giudice, nel 1381 è giurisperito ed inquisitore nella provincia della Valle di Crati (all’incirca l’attuale provincia di Cosenza) e della Terra Giordana. Membri della famiglia Barone, quali titolari di uffici regi o signorie, sono citati negli anni e fino al 1553. Discorrendo della famiglia Alagona, il Mugnos ci dice che uno dei suoi membri, don Giovanni, ereditò da uno zio l’incarico di Mastro portolano per la Calabria citra e sposo donna Lidia Barone, della omonima antica e nobile famiglia di Reggio, “progenitrice di chiarissimi cavalieri, fra quali, viveno don Paolo e fra Domenico cavalier di Malta”
BENINCASA; scrive il Mugnos “fra gli antichi baroni del regno habbiam ritrovato in Messina la famiglia Beneincasa”. Pierleone fu segretario maggiore di Federico II; Eustachio sui figlio, fiorì fra i “cavalieri teutonici” ed acquistò la baronia di Caravaci, uno dei feudi aggregati allo stato di Butera mentre Martino ebbe incarico di capitano della cavalleria messinese nella battaglia del 1282 contro i francesi. Le annotazioni sui vari membri della famiglia continuano fino al 1508.
BILOTTA o BILLOTTA; Carlo de Lellis scrive; “la famiglia Bilotta, che Bolotta, Balotta, e Volotta, fu d’alcuni opinione essere derivata da’ Pilotti gia chiari della repubblica di Fiorenza & altri d’origine normanda la giudicarono”, continuando “non vi mancò chi dicesse di Spagna essere trapiantata in Italia”. Lo storico nota che la famiglia fu ragguardevole in Benevento dove venne al seguito dei romani ed ivi rimase dopo la sconfitta delle tribù sannite. Dal beneventano alcuni della famiglia passarono in Spagna, Francia ed altri paesi, dai quali i loro discendenti fecero ritorno per stabilirsi anche in terra d’Otranto e Calabria. Le prime citazioni della famiglia Bilotta risalgono al 650, al tempo di Romualdo, quarto duca di Benevento. Nel 1100. Herrico Bilotta, feudatario in Aversa, viene citati fra gli obbligati a fornire tre militi per una crociata. Nel 1271 Balduino è feudatario in terra d’Otranto e nel 1280 Placello fu creato castellano d’Oira. Per quel che riguarda il ramo “calabrese” è citato Carluccio o Coluccio Bigotta, il quale, nel 1321, “fu chiamato come barone a custodir la Calabria”. Il ramo catanzarese dei Bigotta origina dal matrimonio fra Cicco Bilotta e Filippa d’Aquino e fra i patti vi è quello che la famiglia si stabilisca in Belcastro. Guglielno viene citato fra i 13 cavalieri italiani che nel 1502 risultarono vincitori nel duello con i pari condizione francesi. Le annotazioni sulla famiglia Bilotta proseguono fino al 1638. Il Mugnos, scrivendo della famiglia Antichi, originaria di Viterbo e stabilita in Napoli, ci dice che il patriarca Luigi, “sdegnato di vedere dette perigliose guerre ch’allora fra gl’Aragonesi e Francesi per l’acquisto di que regni vivevano, chiese licenza al re e con tutta la sua casa se ne passò in Sicilia ed elesse sua abitazione in Palermo”. Fra i nuclei famigliari che lo seguirono nel trasferimento, viene citato anche quello dei Billotta.
BIONDO; Discorrendo della famiglia Alessio, il Mugnos, cita gli scritti di Stefano Anchorano sulla guerra fra guelfi e ghibellini, alla quale lo storico attribuisce la diaspora di molte delle famiglie coinvolte, costrette ad emigrare per sottrarsi alle violenze. Fra quelle che dovettero abbandonare Roma per la Sicilia, annovera la famiglia Biondo, che “fu in preggio in Marsala e Palermo”. Uno Stefano Biondo è citato, attorno alla metà del XIV secolo, quale temporaneo possessore di mezzo feudo di Imbaccari, del quale fu spodestato da Giovanni di Caltagirone “suo creditore per onze cento”. Nicolò Biondo nel 1436 fu senatore di Palermo.
BORRELLO; l’Adimari tramanda che un membro della famiglia, è citato quale signore di Pietrabbondante sin dal 957. Vari membri della famiglia sono citati quali “familiari” di sovrani, fa i quali Federico II. Risultano signori feudali in varie terre, fra le quali sono annoverate la “terra borrella” ed il “casale di Borrello”. Per quel che riguarda le signorie nelle terre di Calabria, sono citati Camalenario nel 1278, Nicolò nel 1330 e 1331, Guglielmo e Niccolò, con pertinenze in Cosenza nel 1322; Goffredo nel 1274 possiede beni nel casale di Borrello. Su detta famiglia vi sono citazioni sino al 1431 ed è citata nella Napoli sacra, in atti presso l’Archivio della Zecca e nella Biblioteca Napoletana.
Sui Borrello il Mugnos, trascrive l’abate Pirri, il quale annota che, in una tabella dell’anno 1098, affissa nella chiesa di Venosa e celebrativa di Guglielmo d’Altavilla, detto Fortebraccio, primo a fregiarsi del titolo di Duca di Calabria, fra altri “militi”, è citato Rubberto Borrello. Lo stesso abate scrive che il citato Roberto Borrello, “sia del real sangue Normanno disceso” ed anche genitore di Goffredo, il quale diede all’arcivescovo di Messina, nel 1094 terreni ubicati in S, Lucia di Milazzo e nel 1103 “altri terri con villani” in di S. Lucia di Noto. Nel 1205, Benvassallo Borrello era uno degli straticoti di Messina. Sempre il Mugnos ci dice che da antichi rami dei conti di Marsi derivi la famiglia siciliana dei Borrello, il cui capostipite Giovanni, fu capitano d’arme in val di Noto per il re Alfonso, e nel 1435 “ si casò” con Lucia Carnevale, figlia di un patrizio del luogo. Giovanni, figlio del precedente, è annoverato fra i patrizi della città di Noto nel 1522. Con la sua discendenza, i figli Pier Antonio, Niccolò ed Andrea, il Mugnos annota “non ho trovato prosperità veruna” se non l’arme della famiglia ad ornarne i sepolcri.
BRUNO; Il Mugnos ci dice che la famiglia Bruno, da Firenze passò in Sicilia, ai tempi di re Manfredi, al servizio del quale si posero i fratelli Giovanni e Pietro. Per conto del sovrano portarono a termine importati e delicati incarichi tanto che Giovanni fu eletto rettore del popolo nel 1282 mentre Pietro fu castellano della attuale Salemi, ove sposo una Lanzillotta, ed ivi morì nel 1298 lasciando erede il figlio Giovanni, al quale il re confermò la signoria del feudo nel 1300. Giovanni mori nel 1344 e gli eredi nel tempo acquisirono posizioni di prestigio e ricoprirono alti incarichi quali, familiare e procuratore del re nel 1391 nonché familiare regio nell’anno successivo. Le annotazioni sui membri della famiglia Bruno proseguono fino al 1550.
BUONO; per Adimari trattasi di antica famiglia, un ramo della quale, originario di Parma, venne detta Bono o Buono. Le prime vestigia rimandano al secolo XIII, nel quale, in rogiti di compravendita di immobili, appaiono alcuni personaggi di tal casato. Pietro Bonus fu uno dei capi della rivolta del 1477 contro la fazione dei Rossi di Parma. Genesio Bonus figura nell’elenco degli anziani della squadra ducale negli statuti. Il Mugnos, scrivendo della famiglia Agrigento (o Girgenti), signori di Piazza nell’anno 1505, elenca le famiglie ad essa “concurrenti” e cita “la famiglia Buono”. Discorrendo della famiglia Camuglia, il cronista elenca le famiglie nobili di Messina e fra quelle estinte cita anche la “Buono”: Parlando delle vicende di Mantova, il Mugnos ci dice che Luigi Gonzaga, dopo aver ucciso Passarino Bonaccolti, si proclamò signore della città perseguitando tutti coloro che considerava oppositori. Per sfuggire alle oppressioni, nel 1328 Il Bonaccolti fu costretto alla fuga assieme ad altre delle maggiori famiglie, fra le quali il cronista annota quella del gentiluomo Filippo Buono. I fuggiaschi vennero in Sicilia ed inizialmente si stabilirono in Messina. Proseguendo, il Mugnos, scrive; “Fiorì parimenti in Sicilia la famiglia Bono con splendore nella città di Castrogiovanni, hebbe origine dal gia detto Filippo Bono, che passò da Mantua con la famiglia Bonaccolto, costui procreò il predetto Antonio il quale generò pure à Domenico, che fu progenitore della famiglia Bono di Calascibetta del barone degli Destri, che d’indi passò nella città di Polizzi, ove è stata promossa nei primi carichi della sua patria, avendo fatto parimente nobili congiungimenti matrimoniali, e particolarmente con la famiglia Santa Colomba”. Niccolò Buono fu senatore di Palermo dal 1470 al 1473; Pietro Buono fu ultimo signore di Calascibetta e del feudo di Salangiuppi, ereditato dal nipote Calendrino Corleone. Giuseppe Bonfiglio, elenca le famiglie nobili di Messina e fra esse cita la Buono.
CAMPOLONGO; su detta famiglia, Biagio Adimari scrive; “uomini di quella famiglia sono stati antichi signori di Lungro Porile, e Pietrapertosa e signori di Fermo (Firmo ndr), e Acquaformosa”. Nel 1571, Lucio paga il relevio per subentrare nel feudo di Pietrapertosa al defunto padre Felice; Gio. Pietro nel 1540 è feudatario di Campomaggiore in terra di Basilicata. I Campolongo hanno titolo di nobiltà per le città di, Campagna, San Marco, Altomonte. Nel XVII secolo e fino all’abolizione della feudalità, un ramo della famiglia ha titolo feudale di barone delle terre di San Donato.
CAPANO; viene citata dall’ Adimari come “famiglia Capana”, volendo indicare il cognome capostipite dal quale deriverebbero poi gli altri (per San Donato, Capani e Capano). Ci dice anche che Elio Marchese la da come originaria del Cilento ed alcuni dei suoi membri hanno ricoperto incarichi militari ed amministrativi nelle strutture del regno. L’anno in cui avviene la prima citazione del cognome è il 1419 e riguarda Nicolò, milite, familiare e capitano di Agnone. Vi sono citazioni per altri componenti la famiglia fino al 1670.
CAPPARELLI; (detta anche Cafarelli e Caparelli); il Conforto annota detta famiglia, fra quelle citate nelle scritture degli antichi archivi napoletani “Della zecca e Protocolli di antichi Notai” e fra quelle di più antica origine e nobiltà romana. A causa delle guerre ghibelline si ebbe il trasferimento della famiglia in Sarno e poi in Napoli. Circa la mutazione del cognome il Conforto cita atti notarili redatti quanto regnava re Roberto e nei quali “Minichello Cafarello, alias Caparello di Roma con titolo di Militer & nobilis”, compra un feudo nobile del regno nell’anno 1337. Cicco Cafarelli, figlio di Minichello, nel 1400 venne dichiarato “familiare” del re Ladislao. Le annotazioni proseguono negli anni a seguire e fino alla nascita di Francesco nel 1689 e di Gio.Pietro nel 1700, figli di don Domenico Caparelli. Il Mugnos, discorrendo della famiglia Cafarelli ci dice che segui il gruppo Alessio nell’emigrazione da Roma e che il capostipite fu Muzio, stabile in Caltagirone ove “si casò con Giacoma Insparosa, ed alcanzò per cagion di dote molti tenimenti di terre, e dal re Federico per suoi servigi il feudo di Bonilla, o Bonica”. I discendenti di Muzio, per matrimoni, diramarono in Castrogiovanni, Vizzini e Modica ove condussero vita agiata.
CARO; “assai antica e nobile la famiglia Caro in Italia”, scrive il Mugnos che la da stabile in Roma e nel regno di Napoli ove furono baroni di Monte Gaudioso. Si distinsero Guglielmo, prode combattente; Giovanni, governatore in l’Aquila; Luigi e Guglielmo, cavalieri in Barletta con re Manfredi. Palmarino fu tra i ribelli con Corradino contro re Carlo e successivamente ebbe, per se e per suo figlio Luigi, la castellania di Leocata (Licata ndr) da re Pietro d’Aragona. Luigi nel 1375 ebbe titolo di cavaliere regio da Federico II e Simone suo fratello ottenne l’ufficio di Portolano in Leocata. Giovanni nel 1433, per servigi resi, ebbe “onze 50 di rendita ogni anno sopra l’estrazion del porto, del feudo, e castello di Montechiaro” e nel 1436 acquistò l’isola di Lampedusa “con potestà di potergli edificar Terra ed amministrarli la regia giurisdizione”. In Trapani fiorì altro ramo della famiglia con Michele Caro che nel 1504 acquistò la baronia d’Arcudaci. Le annotazioni su detta famiglia si susseguono fino al 1585.
CARUSO; su detta famiglia il Mugnos annota che “formò nobilissimi rami nelle città di Catania, Leontini (Lentini ndr) e Palermo”. I progenitori, Giovanni ed Antonello, servirono sotto Federico II che li nominò cavalieri, suoi segretari e consiglieri. Il cronista riporta il noto, astuto, eroico episodio, nel quale perse la vita Pietro Fortugno, detto cavalier Caruso, circostanza da cui trasse benefici suo figlio Lancillotto che ebbe in dono le terre ed i Castelli di Conza ed Apice. I discendenti di Lancillotto ricoprirono importanti e delicati incarichi a corte. Su detta famiglia abbiano citazioni su Fortugno Caruso, che nel 1397 acquistò il feudo di Comitino e nel 1399 il territorio di Granato. Fra il 1444 ed il 1457, Antonello fu “mastro rationale del regno” ed acquisto la Terra di Spaccafumo, il feudo de Pulci, Lungarino, il Tuono di Milazzo, Ragalmedici e Librici, San Lorenzo, Bucchio piu altre terre che nel 1478 passarono al figlio Antonello.
CERASA; discorrendo della famiglia Camuglia , il Mugnos elenca le famiglie nobili di Messina e fra altre cita anche la “Cerasi” annoverandola fra quelle estinte. Giuseppe Bonfiglio, elencando le famiglie nobili di Messina, fra esse cita i Cerasi.
CONTARINI; su detta famiglia riporto la cronaca del Mugnos; “venne Luigi Contarini cavalier veneto a serviggi del re Martino, e si casò in Siragusa con Cesarea figlia di Pietro Modica baron di San Giacomo Belmineo nel 1394; perlochè acquistò i feudi di San Giacomo Belmineo, e di Solarino; ne nacquesto da costoro Pietro, e Giovanni Contarini, che si casarono in Agrigento, Pietro con Ghirlanda Coppera sorella d’Antonio Coppera baron del feudo di Beccuto, òver di San Giuliano, e Giovanni con la figlia di Filippo Cusafio, baron del feudo dell’Abigliatori. Questo Filippo fu padre di Luca Cusafio, che succedette nel medesimo feudo nel 1497. Ne pervennero da Giovanni molti gentil’huomini; fra i quali vi fu Gioseffo Contarini Secreto della citta d’Agrigento nel 1593, ove sin’hora nobilmente vive questa famiglia”.
CORTESE; ci dice l’Adimari che detta famiglia godeva nobiltà in Sorrento, Venafro, Ravello ed Amalfi.
Le annotazioni sui membri della famiglia Cortese, coprono un arco di tempo corrente fra il 1272 ed il 1588. La prima citazione del cognome è del 1272 con Giovanni, castellano in Acerenza; nel 1309, Napoletano Cortese, è “familiare” del duca di Calabria; nel 1343, Iacopo è mastronotaro in Valle di Crati e Terra Giordana; Nel 1460, i beni di Jacopo, “ribello per havere aderito al duca inimico”, vengono confiscati e venduti dal re Ferdinando I.
GIUNTA; illustrando le vicende della famiglia Caldarera, il Mugnos cita Adamo, feudatario di Ragalbigine, alla cui morte subentrò nel titolo la sorella Ada (moglie di Giacomo Giunta) che, nel 1453 lo trasmise poi al figlio Giovanni Giunta. Al predetto subentrò nel 1457 il figlio Andrea. Negli anni seguenti il feudo passo per eredità ai vari membri della famiglia Giunta, ciò negli anni 1488 e 1508. Parlando della famiglia Agrigento (o Girgenti), signori di Piazza nell’anno 1505, il Mugnos elenca le varie famiglie ad essa “concurrenti” e cita anche “la famiglia Giunta”. Il cronista cita Adamo, titolare del feudo di Ragalmigine, alla cui morte subentrò la figlia Ada, moglie di Giacomo Giunta barone d’Aliano ai quali, nel 1453, subentrò il figlio Giovanni Giunta.
GRAVINO; parlando della famiglia Corillies o cruillas, il Mugnos cita Girolamo Gravina quale “progenitor de signori Gravini de’ marchesi di Fràcofonte, e molti altri chiarissimi cavalieri questa famiglia have partorito”. Nella cronaca della famiglia Calascibetta viene citato Vassallo di Gravina, marito di Agata di Modica, acquirenti del “feudo della Montagna de membri del Mazzarino”, poi venduto a Matteo Spinello di Piazza. Sempre il Mugnos, citando Giovanni Tillio, ci dice che un cavaliere normanno, tale Silvano, al seguiro di Ruggero e Roberto, cavalieri normanni che conquistarono la terra di Puglia, abbia ricevuto in dominio ed esercitato signoria sul ducato di Gravina, in terra di Bari, feudo dal quale la famiglia ha poi preso il nome.
GUARAGNA; Parlando della famiglia Buglio (o Puglio), il Mugnos cita Ruberto Guaragna quale feudatario obbligato al “servizio militare” e per questo vincolato a fornire al sovrano Guglielmo II due soldati da impiegare per la “Guerra Santa”.
LOCCHIALI o LUCCHIALI; è tipico calabrese, diffuso nel catanzarese e reggino; deriverebbe dal dialettale del nome arabo del pirata saraceno “Ulug’ Alì el Fertas”, alias di Giovanni Dionigi Galieni (o Galeni, 1519-1587), famoso fra i “rinnegati” calabresi dediti alla pirateria per conto dei “turchi”. Il nome arabo Ulug Alì, è stato tradotto nel dialettale “Uccialì” od “Occhialì” e successivamente italianizzato nelle forme “Lucchialì, Locchialì, Luccalì, Luccialì” ed assunto a cognome.
MANCINI; il Mugnos scrive che la famiglia Mancini (per altri Mancino o Manzini), nel 1256 da Roma passò in Sicilia, a Siracusa, per decisione del capostipite Giacomo che, con altri, voleva sottrarsi all’oppressione della potente famiglia Vitelleschi. Nell’isola Giacomo “si casò” con la figlia di Nicolò Curerano dalla quale ebbe Nicolò Raimondo e Giovanni, i quali servirono sotto gli aragonesi nelle guerre contro i francesi. I membri della famiglia ricoprirono incarichi di varia natura; Raimondo fu senatore di Siracusa nel 1392 e giurato nel 1404 e 1408, Dario ebbe lo stesso ufficio nel 1407 e 1409. Le annotazioni sulla detta famiglia il Mugnos le riporta sino a circa la metà del XVI secolo.
MARTINO; la famiglia viene data dall’Adimari come “originaria del nostro regno” (di Napoli nrd) sin dal 1272, con Bartolomeo che ha qualifica di “milite”, ossia è obbligato verso il signore feudatario da prestazioni ed obblighi militari. Vengono citati vari appartenenti al ceppo familiare, tutti con incarichi o funzioni militari ed amministrative. Petrillo nel 1417 ebbe l’incarico per l’esazione delle collette in Vale di Crati e terra Giordana. Vari membri della famiglia sono citati sino al 1512. Il Mugnos, parlando delle famiglie coinvolte nella guerra guelfi-ghibellini e bianchi-neri ne cita alcune che, per sottrarsi ai massacri, attorno al 1316 emigrarono nelle terre nel regno del sud e fra esse la Martino stabilitasi in Leontini (attuale Lentini).
MAURELLI; Biagio Adimari nello scrivere della famiglia Castiglione, sul finire della biografia dice che “di questa casa ve ne sono in Cosenza, chiamasi hoggi Maurelli”.
MAURO; viene citato dal Mugnos un Pietro Mauro, cavaliere e quale beneficiario del feudo di “Canicattini” (attuale Canicattì nrd), concessogli nel 1371 da Federico III. Parlando della famiglia Bracci, il cronista annota che Pierluca, cameriere di Federico, II ebbe per moglie Leona figlia di Bentivoglio Mauro gentiluomo messinese. Giuseppe Bonfiglio, elencando le famiglie nobili di Messina, fra esse cita i Mauri. Elencando i senatori di Messina dell’anno 1302, il Mugnos fra essi annovera Filippo Mauro. Violante Mauro nel 1416 era signora nel feudo di Baccarato.
MAZZEO; potrebbe derivare da una errata trascrizione del cognome Mazzei. Scrive il Conforto che i Mazzei appartenevano ad una antica famiglia originaria di Lucca, città dalla quale era emigrata per sottrarsi alla tirannia del Castracane e stabilirsi nel Nolano. La prima annotazione di detto cognome compare nel libro delle numerazioni per la nobiltà dell’anno 1447.
MONACO; Carlo de Lellis scrive che i Monaco furono cavalieri francesi venuti al seguito degli Angioini, dei quali erano militi. Nel 1275 è citato Giovanni quale creditore della regia corte per 4 once d’oro. Nel 1292 è citato Pietro, cavaliere catturato dai catalani e per il cui mantenimento in prigionia e sino alla liberazione, Carlo II ordina si paghino 51 libbre di “coronati provenzali”. Giovanni, che acquisì dignità cardinalizia, è ricordato da un epitaffio nella chiesa di Avignone, ove fu sepolto nel 1313. Simone, nel 1304 venne nominato “provisore di tutte le fortezze, e castella delle province di Capitanata e Basilicata”. Matteo nel 1319 venne nominato “maestro portulano della Puglia”. Guglielmo, per meriti in campo militare venne nominato Governatore generale dell’artiglieria e per i servigi resi, re Ferdinando nel 1463 gli donò in perpetuo i proventi della gabella di piazza Maggiore in Napoli oltre ad un vasto appezzamento di terreno. Nel 1478 comprò la Terra di Montestarace in Calabria Ultra e la bagliva della città di Cosenza. Nel 1507 ottenne dal re Alfonso una “patente” con la quale veniva riconosciuta la nobiltà della sua nascita e dei suoi ascendenti. L’ultima iscrizione è relativa ad Ottavio, il quale, nel 1640 viene accettato in perpetuo nel “Monte grande”, un raggruppamento di famiglie nobili della città di Napoli. Parlando della famiglia Buglio (o Puglio), il Mugnos cita Guglielmo Monaco quale feudatario pugliese obbligato al “servizio militare” e per questo obbligato a fornire al sovrano Guglielmo II due soldati e tre serventi, da impiegare per la Guerra Santa. Un Giovanni Monaco risulta possessore del feudo d’Abbigliaturi, venduto nel 1420, per 160 onze a Nicolò Crisafi cavaliere messinese. Una donna Francesca, figlia di Pietro Monaco da Trapani, risulta sposata a don Francesco Ferro, barone della Merca. Andrea Monaco, nel 1411 fu “Giurato” nella città di Palermo.
MORANO; Carlo de Lellis la cita fra le famiglie “eccellenti”, scrivendo “tale è appunto la famiglia Morano, così detta dalla terra di tal nome posta nella provincia di Calabria citra, da tempo immemorabile da essa signoregiata”. Imparentatisi coi Ruffo, i Morano risedettero in Catanzaro ed ivi, nel 1239, Federico II diede ad Ampollonio Morato il compito di custodire gli ostaggi longobardi fra i quali Alberto Ricciolo da Piacenza. Nel 1284 Tancredi Morano risulta fra gli economicamente obbligati verso il re Carlo I. Ruggiero nel 1313 per i sui servigi venne remunerato col possesso della città di Rossano, Nicolò invece nel 1360 acquistò il feudo di Cotronei. Risultano altre annotazioni prive di riferimenti temporali. Di detta famiglia annota anche il della Marra, che conferma l’incarico fiduciario di Federico II nel 1239 e cita la “signora di Morano”, donna Benvenuta moglie di Tancredi Morano, la quale, nel 1287, invita a cena Manfredi di Chiaramnonbte, lo trattenne e lo liberò dopo il pagamento di un riscatto. Per la legge del contrappasso, la donna, nel 1294 dovette pagare cinquecento salme di frumento, fuori regno, per riscattare uno dei figli prigioniero. Roggiero Morano ebbe in concessione la signoria sulla città di Rossano mentre la cittadina di Morano, nel 1296 divenne feudo di Ampollonio Morano. I Morano, ribelli al re Ferrante, furono spogliati dei beni che vennero assegnati a Luca Sanseverino duca di San Marco. La Casata venne tenuta in piedi da Raimondo che nel 1406 era familiare di re Ladislao. Suo figlio Giovanni Antonio nel 1469 ricevette capitania e castellania di Satriano, vicino Squillace e fu uomo molto influente nelle vicende di Catanzaro. I discendenti di G.Antonio ricoprirono vari incarichi, ebbero possedimenti vari e nel tempo diramarono radicandosi nelle terre delle attuali province di Catanzaro e Cosenza.
PANDOLFO o PANDOLFI; accennando alla battaglia dell’anno 1280 fra Pisani e Genovesi (per intendersi quella che vide soccombere i pisani comandati dal conte Ugolino), il Mugnos elenca i cavalieri intervenuti, distinguendoli per gruppi familiari. Per la famiglia Lanfranchi intervenne, fra altri, Pandolfo Pandolfi.
PERRONE; Biagio Adimari dice che detta famiglia “è nobile in Napoli, Lecce, e nell’Amantea essendovi stato aggregato nel secolo passato, Aurelio Perone”. Le varie annotazioni, distribuite nell’arco di tre secoli, riportano Mario, che nel biennio 1345/46 è feudatario; nel 1528 Francesco era presidente della Camera della Sommaria e nello stesso anno, suo fratello Giovanni “regio secretario di Cosenza”; Paolo possedeva molti beni feudali in Calabria, nel distretto della “Terra Zacarise” e morì nel 1563. Francesco, fu vescovo di Calaza dal 1648 e mori di “morte contagiosa” nel 1656 in Roma e lì sepolto avanti la porta della chiesa di S. Paolo. Ultimo della famiglia fu Ottavio Perrone dopo il quale venne dichiarata estinta. Restarono eredi dei rami secondari, fra i quali l’Adimari, imparentato con i Perrone, cita Gio.Tomaso Perrone, vescovo di Nicastro ed i suoi due nipoti, molto ricchi in Calabria. Questa è l’ultima annotazione e risale al XII secolo.
PIZZI; su detto cognome il Mugnos cita gli scritti di Giovanni d’Avinella, il quale, nel 1360 descrive le casate dei gentiluomini che avevano prestato “servigi militari” per Federico II ed annovera, tra gli altri, Antonio Pizzi che, come “molt’altri si fermarono divisamente nelle città e luoghi del regno”.
PORCO; narrando della famiglia Faraci il Mugnos enumera le parentele e fra esse cita quelli di Niccolò e Ruggiero Faraci con la famiglia Porco, ciò nella metà del XV secolo.
Parlando delle vicende della famiglia Caruso, il Mugnos ci dice che i feudi di Longarino e Tuono di Milazzo, prima dei Caruso erano “stati di Genovese Porco”, presumibilmente deceduto attorno al 1370 e senza eredi. Lo storico ci dice che Matilde, figlia di Nicolò Balsamo, “si casò con un cavalier messinese di casa Porco e partorì d. Francesca Porco, baronessa della Limina, la quale pure si maritò con d. Francesco di Balsamo”.
PRATO; scrive l’Adimari che al tempo dei re normanni, Gualtieri Prato fu dalla regina Sibilia dato per consigliere a Gualtiero di Brenna, che lo pose a capo di 500 soldati. Antonio viene nominato vassallo nel 1271; Guelfo è capitano in Ascoli nel 1280; Carlo II, nel 1292, concede in feudo al milite Andrea, vari casali in Val di Crati. Raimondo è “vice ammirante del regno nel 1306”. Paolino nel 1302 viene “assaltato e ferito a morte” da certo Rasone di Melpignano. Le citazioni dei membri della famiglia Prato sono numerose e l’ultima è del 1637.
SALVO; Biagio Adimari, di detta famiglia scrive che “fu ammessa tra le famiglie romane, avanti l’impero di Cesare Augusto” e che sulla stessa si leggono molte memorie in Assisi, per via che i suoi appartenenti ricoprirono molte magistrature così come scritto da Fulvio Orfino e da padre Gamurrini. La prima data certa circa l’uso del cognome è del 1231 quando un Salvo è eletto vescovo di Perugia; in tempi successivi sono nominati Pomponio, nell’anno 1296; Pietro, feudatario in Valle Mazara nel 1453, e Francesco che ebbe titolo di marchese nel 1622.
RENDA; scrive il Mugnos che Giovanni Renda, fino al 1453 era signore del feudo di Muni, recuperato dalla regia Camera e poi venduto a Filippo Arbea.
ROSIGNOLO; discorrendo della famiglia Conte, il Mugnos accenna alla guerra del 1280 fra Pisani e Genovesi e fra i cavalieri obbligati e partecipi all’evento, cita il gruppo organizzato dalla famiglia Gualandi e fra essi Lupo Rosignuoli.
RUSSO; Giuseppe Bonfiglio, elencando le famiglie nobili di Messina, fra esse cita “i Rossi”,
SABBATINO; un Andrea Sabatino, riporta il Mugnos, fu “giurato” in Palermo nel 1325.
VALLELUNGA; illustrando le vicende della famiglia bolognese dei Carissimi, il Mugnos, fra i cavalieri che nel 1248, assieme a Paschotto Carissimi, vennero in Sicilia per porsi al servizio di Federico II, cita anche Giovanni Vallelunga.
Sin qui l’etimologia, la statistica e la storia che, se riuscissimo ad umanizzarle, alla luce dei risultati, potrebberoro porre un interrogativo crudo e semplice: “Ma quanti sono gli autentici sandonatesi? Quanti possono vantare appartenenza certa all’antica razza?
Azzardo una risposta che sicuramente farà storcere il naso alla quasi totalità dei miei compaesani.
Nessuno degli attuali sandonatesi ha certezza circa discendenza ed appartenenza all’antica etnia osco-bruzia e ciò ha fondamento nella nostra storia.
Troppi “straini” hanno invaso le nostre terre apportandovi morte e distruzione fra i nativi, sui quali sono state sperimentate persine le deportazioni e questo ce lo dice la storia.
Non possiamo neanche far ricorso od appellarci alla genetica per dimostrare che qualche residuo del dna “ù sànghu antìcu” possa ancora resistere. E’ una verifica impossibile, manca un termine di paragone perché dell’antica razza probabilmente non esiste più nessuno. Sterminio e dispersione dei bruzi sono accadimenti di circa diciotto secoli addietro, mentre la “contaminazione della ràzza”, seguito naturale delle invasioni, risale a circa un migliaio d’anni, troppo tempo trascorso perché qualcosa si sia salvata e soprattutto possa ancora resistere ed esistere.
Dicevano i nostri vecchi e con fondati motivi, che i sandonatesi, da qualche secolo, erano “mmìtàti”, ospiti, nel loro stesso paese natio e come tali si comportavano, ciò sicuramente riferito alle troppe vicende “aliene” e che di antico sandonatese non avevano più nulla. “A’ sàpiènu lòngha ì viècchjarièddhi” a temere sempre il peggio man mano che il tempo scorreva e purtroppo per noi, lo svolgersi della storia paesana ha dato loro ragione.
Maggio 2017
Minùcciu
1 commento
Non l’avevo ancora letto. Complimenti all’autore.