Luigi Bisignani
Nel 1863, spaventato dalla misure repressive e dalla intensa lotta contro il brigantaggio e dalla taglie poste su capi e componenti le bande, Priscenti decise di avvalersi della clemenza accordata al brigante che desisteva e si presentava spontaneamente e prese contatti con don Raffaele Benincasa, all’epoca capitano della guardia nazionale, sollecitadone l’interessamento per ottenere il necessario salvacondotto.
Lasciò la banda ed in attesa del documento frequentava la zona “àcqua ù mànghanu”, tenendo i contatti con paese ed i paesani per il tramite del sandonatese Francesco Sirimarco Esposito, il quale quotidianamente gli portava provviste e lo aggiornava sull’iter della pratica.
Priscenti aveva confidato al Sirimarco d’essere possessore di una cospicua fortuna e che, dopo aver sciolto il voto di far costruire una cappella per la Madonna del Carmine, con la somma residua avrebbe beneficato gli amici per i favori ricevuti, principalmente quelli del Sirimarco stesso.
Il Sirimarco, allettato dalla consistente taglia posta sulla testa di Priscenti e dalla somma considerevole che riteneva di rinvenire nella cintura indossata dal brigante, penso bene di accordarsi col fidanzato della figlia Filomena, tale Francesco Pizzo, giovane prestante ed ottimo tiratore, per uccidere e depredare il compaesano datosi al brigantaggio.
La mattina del 30 luglio 1864, tre ore prima di giorno, suocero e genero partirono per incontrare Priscenti. Giunti all’àcqua ò manghànu il Pizzo si nascose ed il Sirimarco avanzò di poco facendo il segnale convenuto. Priscenti si rese visibile ed il Sirimarco, dopo averlo rassicurato sulla pratica in corso, si allontanò di pochi passi per recuperare la bisaccia con le provvigioni. Così facendo liberò la visuale al genero che sparò e Priscenti cadde bocconi fulminato.
I due sicari frugarono nei panni del brigante ma restarono delusi perché della somma preventivata, indosso al brigante rinvennero poche piastre. Si comportarono da sciacalli perché spogliarono la salma di anelli, ornamenti, vestiti e di un “àbitìnu” con l’immagine della Madonna del Carmine che Priscenti portava legata al collo con un laccetto d’oro. Il Pizzo, dopo essersi impossessato del prezioso fucile, ornandosi con panni e cappello del brigante, ritorno in paese a dare la notizia alle autorità.
Nella stessa giornata, seguito da Francesco Pizzo adorno delle spoglie e preceduto dal rullo di un tamburo, il cadavere di Priscenti, “stièsu sùpa dui longhj” venne portato in giro per i rioni del paese. Fu infine deposto sulla spianata della chiesa, “àra Tèrra” e li restò per tre giorni, perché il parroco ritenne di non potergli dare sepoltura in chiesa. Nella giornata del 2 agosto 1864 sulla stessa spianata venne eretta una pira e su quella Saverio Iannuzzi, nominato Priscenti dai sandonatesi e “lo zoppo” dai compagni di macchia, si dissolse e trovò finalmente pace. Aveva quarantasette anni.(2)
E’ mia opinione che Priscenti non poteva farla franca e per tre buoni motivi, comprese “dùi bricaziùni” che aveva verso due parentati sandonatesi. L’omicidio commesso in gioventù le cui avvisaglie di vendetta doveva averle percepite quando, appena uscito di galera, vagava ramingo, solitario ed alla fame. Di detta situazione doveva aver capito che probabilmente non era estranea la parentela dell’ucciso, pronta a cogliere il momento buono per rendergliela.
C’era poi la storia delle violenza sessuale a danno di alcune donne sandonatesi consumata dai suoi compagni “saracinari” nell’autunno del 1863. Anche questa parentela lo avrebbe sicuramente atteso al varco. Era sentire comune che lui ne fosse in qualche modo complice o quantomeno non aveva mosso dito per impedirla. Terza e non ultima in ordine di importanza la sua pericolosità per i possidenti ed i galantuomini del circondario. Negli anni trascorsi con i briganti Priscenti era venuto a conoscenza di tanti fatti e fatterelli inerenti spiate, favoreggiamenti, mandati per grassazioni ed episodi di ricettazioni e manutengolismo, tutti episodi che se resi pubblici o peggio denunciati alle autorità, potevano inguaiare più di un rappresentante di quelle famiglie che avevano peso economico-sociale e che nel nuovo ambiente politico contavano eccome.
Ottobre 2013
Minucciu
(1) cfr. appendice del volume Ninaia, sulla storia sandonatese, di prossima pubblicazione.
(2) cfr volume San Donato di Ninea di Vincenzo Monaco, edito in Velletri nel 1987
(3) cfr volume Castrovillari miscellanea di Ettore Miraglia, edizioni Prometeo.
(4) cfr.La fine della banda Franco;cfr La Basilicata di E. P. Rossi, edizioni Casari,Salerno.
(5) cfr:Terra ribelle, 1860 1865, il Brigantaggio post unitario nell’area del Pollino. Novembre 2012
1 commento
Devo fare i complimenti a minuccio del suo racconto quasi veritiro sulla vita di prischenj tramandataci dai nostri nonni nelle lunghe notti invernali sandonatesi!