Luigi Bisignani
PRISCENTI (parte seconda)
Altri scritti (3) lo mostrano brigante di poco peso e di scarsa influenza ed infine (4) quale brigante crudele ed insensibile verso la sorte dei compaesani.
Si scrive di un Priscenti organico della banda La Valle, presso la quale però non aveva molto credito e veniva ritenuto inadatto al tipo di vita ed attività e quasi deriso, perché di scarsa statura e corporatura. In poco tempo il sandonatese venne riabilitato perché diede dimostrazioni di temerarietà e crudeltà. Si raccontava che un tale Famà, anziano e malaticcio possidente che viveva da solo in Cassano, divenne obiettivo del La Valle che, in compagnia di altri briganti fra i quali Priscenti, penetrò nell’abitazione del vecchio. Non riuscendo a farsi indicare il luogo ove teneva le ricchezze, La Valle consegnò il vecchio a Priscenti e questi, per indurlo a parlare, lo sottopose ad crudeli ed inaudite torture proseguite fino agli spasmi della morte. Di contro ci descrivono un Priscenti amorevole con i compaesani ed affezionato al paese, tanto che talvolta si aggirava nei dintorni dell’abitato e vi penetrava sia per godere i favori dell’amante, sia per farsi curare quando era malato, sicuro che nessuno l’avrebbe tradito. In proposito si narrava che ferito ad una gamba venne in paese per le cure ed al medico locale corrispondeva trenta piastre per ogni visita, onorario favoloso per quei tempi e luoghi.(2) Detta ferita, curata come era possibile farlo in quei tempi, lasciò dei postumi tanto che nella banda di Antonio Franco, Priscenti venne nominato “lo zoppo”e con questo soprannome risulta negli atti giudiziari.(5)
L’affetto di Priscenti per i sandonatesi viene però smentito da un episodio accaduto nell’ottobre 1863 quando Di Pace Domenico e Di Napoli Carlo, entrambi da Saracena e capi dell’omonima banda brigantesca, dopo aver consumato abbondanti libagioni e bevuto parecchio vino loro recapitato da Michele Maradei da Mottafollone, assalirono e violentarono alcune donne di San Donato (3). All’episodio ebbe ad assistere Priscenti, ma non è tramandata alcuna sua reazione e ciò a ben vedere perché i saracinari godevano di pessima fama, specie in crudeltà, inaffidabilità e slealtà verso i compagni. Per inciso furono alcuni elementi dei saracinari i primi a pentirsi e tradire le bande brigantesche ed i compagni di avventura.
E’ di scarso interesse sottolineare o riportare minutamente le malefatte della banda ove era organico Priscenti, il quale, dal suo ingresso nel mondo del brigantaggio, fu coprotagonista di tutte le violenze e depredazioni che la banda di Antonio Franco attiva fra il 1860 ed il 1865, commise, sia agendo da sola (aveva in organico fra i sei ed i dodici uomini, ma vi passarono circa sessanta elementi), sia in associazione temporanea con la Banda dei Saracinari o con quella di Francesco Lavalle di Mongrassano e con le bande Masini e. Pugliese (il gruppo unito raggiunse i cento elementi).
Vari furono i sequestri di persona a scopo estorsivo, le ruberie e le grassazioni e le violenze, che videro protagonisti i briganti. Da tali azioni, il sandonatese ricavò sostanze che in parte occultò in luoghi con i quali aveva familiarità, quindi i dintorni del paese natio, ed in parte spese per mantenere la libertà. In quei tempi il brigante viveva si di prepotenza e sulla paura altrui, ma dipendeva, in tutto e per tutto, da amici (quasi tutti interessati), dai quali ricevere alimenti, vestiario, armi ed assistenza, pagando tutto e tutti profumatamente. Doveva anche tenere buoni rapporti con altri manutengoli, stavolta in veste di ricettatori, ai quali cedere la propria parte di bottino per monetizzarlo.
Ma non era vita quella, specie per un fisico esile e minato da fatiche giovanili e dagli anni di galera. Priscenti non era tagliato per una vita di corsa. Alla macchia, come tutti i briganti, doveva consumare i pasti sempre in fretta ed in piedi; mangiare la carne cruda od appena arrostita ed i maccheroni bolliti e fatti occasionalmente scodellare da qualche contadina. Nei rari periodi di tranquillità e di notte c’erano le soste nei mulini od in casolari isolati e consumavano qualche pasto decente. Poi, se la situazione lo permetteva, suonavano la zampogna ed intonavano le loro canzoni. Se il posto lo consentiva la banda si sedeva attorno al fuoco e venivano commentate le azioni portate a termine, rammentate avventure, anche quelle galanti, rivisti i contatti con manutengoli, scritte biglietti con richieste di derrate o di ricatto da consegnare ai possidenti.
Novembre 2013
Minucciu
(1) cfr. appendice del volume Ninaia, sulla storia sandonatese, di prossima pubblicazione.
(2) cfr volume San Donato di Ninea di Vincenzo Monaco, edito in Velletri nel 1987
(3) cfr volume Castrovillari miscellanea di Ettore Miraglia, edizioni Prometeo.
(4) cfr.La fine della banda Franco; La Basilicata di E. P. Rossi, edizioni Casari,Salerno.
(5) cfr:Terra ribelle, 1860 1865, il Brigantaggio post unitario nell’area del Pollino. Novembre 2012